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Scritto da una persona, non da una macchina

Lasciati ispirare dalle STORIE

(Ogni storia è opera di finzione e non descrive nessuna persona o eventi reali)

   

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PARIDE NON E' PIU' QUI
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PARIDE NON È PIÙ QUI*

Storia on-line

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Quando mi comunicarono all'ospedale che mia moglie era spacciata volevo gettarmi giù dalla rampa di scale.


Rincasato, ho scaraventato a terra tutto quanto dai pensili e dalle mensole. I suoi adorati libri, i suoi film, la sua musica, le foto. Ero circondato da tutte le sue cose sparse sul pavimento, in ginocchio, in mutande, piangente e disperato, ... Cose che mi parlavano di lei e dei suoi numerosi interessi ma che non me l'avrebbero riportata a casa. Era l'unica, a detta di molti, essere stata in grado di sopportarmi, di guidarmi e di tenermi testa.


Ho preteso dalle figlie che mi aiutassero a rialzarmi, che si precipitassero ad ogni mia chiamata, che mi dessero conforto, che mi distogliessero dai miei stati depressivi, che buttassero via tutto quanto mi ricordasse lei sotto la mia stretta supervisione. Non volevo vedere in giro più niente di lei e i pochi oggetti che loro reclamavano a pieno diritto li ho buttati alla rinfusa in uno scatolone rendendone il contenuto irrimediabilmente rovinato ​e inservibile.


Nessuno ha fatto loro le condoglianze. I miei parenti, i miei colleghi, i miei amici, i vicini, tutti le conoscevano e sapevano della loro esistenza ma nessuno le ha mai consolate, aiutate, supportate. Colpa mia che le ho sempre volute tenere fuori da quello che ho sempre considerato mio. Con la morte della madre loro non hanno avuto più riferimenti, più sostegni, più certezze. Incurante della loro sofferenza, le ho accusate falsamente di furto, di maldicenza, di invadenza, di opportunismo, ho abusato della loro pazienza, ho promesso senza mantenere, ho approfittato della loro buonafede giustificando le mie azioni e i miei pensieri con l'immenso dolore che provavo per la perdita della mia amata. Le ho precluse dal frequentare la casa dove tutti noi avevamo vissuto i nostri momenti insieme negli ultimi 20 anni, ho cambiato la serratura per timore che potessero entrare in mia assenza sebbene sapessi che non l'avrebbero mai fatto.

 

Nonostante il mio distacco, il mio egoismo e la mia insensibilità nei loro riguardi, mi hanno sempre agevolato, supportato, ascoltato, mosse dall'affetto per me. Si sono fatte carico di tutto, dalla gestione del funerale, alle pratiche burocratiche, incurante delle loro lacrime di fronte agli impiegati dei vari uffici, ai colloqui con i medici e psicologi affinché mi seguissero nel mio stato emotivo devastato. Le ho costrette a rinunciare alla loro quota di casa materna, con un meschino sotterfugio mi sono appropriato indebitamente della somma di denaro che diligentemente mia moglie aveva destinato a loro. Dopotutto, avevo bisogno di un'auto nuova. Le ho trattate in malo modo e, anche quando ho visto nei loro occhi la loro delusione e disapprovazione, non ho chiesto scusa né ho riparato in alcuna maniera.

Ho preferito allontanarle fisicamente ed emotivamente, tutto sommato non sono più delle bambine e in grado di cavarsela da sole. I loro problemi non sono i miei neanche quando una di loro è rimasta fuori casa in tarda serata per aver dimenticato le chiavi e, pur di non darle ospitalità in casa della loro madre, le ho detto: "Vai da tua sorella, arrangiati con lei".


Mi facevo vivo qualche volta per gli auguri di Natale, Pasqua o per avanzare pretese, ma guai se mi telefonavano loro! Mi arrabbiavo. Poi, ho preferito non farmi più vivo, declinare i loro inviti ai compleanni, alle cene, alle ricorrenze, alle commemorazioni. Ho voluto cancellarle dalla mia vita perché con me non c'entravano più. Si è chiuso un capitolo, si è innescato un meccanismo nel mio cervello di non ritorno. Ma non sono capace a stare solo, per questo mi sono buttato nelle braccia della donna che mi aveva corteggiato spudoratamente anche davanti a mia moglie, scarnendola e svilendola. Flirtava con me cercando la mia complicità mentre mia moglie stava lottando contro il cancro.

Lei se ne era accorta a suo tempo ma io negavo difendendo quella domestica così efficiente perché mi sembrava inoffensiva e mia moglie solo immotivatamente ed esageratamente gelosa. Probabilmente, invece, aveva capito subito che tipo era e a cosa mirasse, ma ora mia moglie è morta mentre la domestica è ancora viva e vegeta.

Si somigliano nel loro essere così innocentemente gradevoli e di bell'aspetto.

So che è tutta una recita da parte sua, so che non mi ama come dice, provenendo da una nazione dove le donne fanno di tutto per fuggire dalla loro miseria. Mi asseconda in tutto. Mira al mio status, ai miei soldi, alla mia casa, è furba e gentile per guadagnarsi la mia fiducia affinché mi prenda cura di lei e dei suoi due figli che ben presto avranno rimpiazzato le due che ho tradito dopo 30 anni di vita in comune. Forse, le regalerò la casa di famiglia con tutti i mobili, i quadri, i tappeti, ogni cosa di valore appartenuti a mia moglie perché io non avevo prima e non ho niente neanche adesso o venderò tutto per andarmene con lei all'estero, proprio nel suo paese dove si vive da re spendendo poco. Magari il furbo sono io non la disponibile domestica. Sono un vile? Un disgraziato? Un senza cuore? Io bado solo ai miei interessi, frego prima di essere fregato, vivo per me stesso e di me stesso e chiunque pensi quello che vuole. Mia moglie ha sempre creduto in Dio, nel al di là, nell'espiazione, nel pentimento, nella giustizia divina, io no. Sicuramente avrebbe, ancora una volta, ragione.

 

Paride non è più qui con la testa, con il cuore. Mai stato.

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MORALE: Pratichiamo il perdono (pratica di trasformazione, crescita, sviluppo, virtù), sia nei confronti degli altri che per noi stessi.

 

I legami di parentela non sono necessariamente condivisione di sentimenti e valori simili né garanzia di rapporti duraturi.

Non abbiamo il controllo sulle persone né dobbiamo aspettarci che esse agiscano secondo nostra volontà e gradimento. Possiamo, invece, prendere atto della realtà e cambiare il modo in cui reagiamo a quei comportamenti che reputiamo tossici/dannosi/fastidiosi/ingiusti nei nostri confronti.

Ecco che viene in soccorso il per-dono (rendere dolore e amore un dono).

Perdonare non significa giustificare (provare compassione sminuendo l'azione compiuta) o dimenticare (lasciando andare negando il giusto peso dell'accaduto) e neanche non reagire all'evento (disinteressandone, fregandosene, beffandosene), ma piuttosto comprendere la radice del dolore che ha portato la persona ad agire con violenza, svuotare la sofferenza collegata al ricordo, agire consapevolmente, liberi dal peso emotivo che ci trascina verso il basso (odio, rabbia, rancore, vendetta).

Solo in questo modo attiviamo la capacità di rendere la nostra vita veramente un dono.

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*Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale poiché ogni storia, raccontarticolo e racconto è opera di fantasia e frutto dell'attività creativa dell'autrice.

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IL GIUDIZIO DI MAURA
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IL GIUDIZIO DI MAURA*

Storia on-line 

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Appassionata d'arte Maura studia per diventare, un giorno, un'artista pittrice.

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La sua camera è adibita ad atelier. Cavalletti, pennelli, tele, tubetti ad olio, spruzzate di colore sulle pareti ornano i suoi spazi.

Maura sogna ad occhi aperti sul davanzale della sua finestra, ben conscia della sua smania di successo e, determinata com'è, dei traguardi che raggiungerà fuori dal suo piccolo contesto contadino. Ragazza ambiziosa, Maura, dall'altezza imponente, chioma folta e riccia con un sorriso che conquista, sa mettere gli altri a proprio agio. È dotata di una simpatia contagiosa e di un'apparenza ingenua e disarmante.

 

Trasferitasi in città, per mantenersi durante gli studi, accetta volentieri lavoretti saltuari come modella, prestando il suo corpo senza grazia a fini artistici, bodyart, video amatoriali, foto, disegno dal vivo, passerelle di moda di poco conto.

La sua bellezza non convenzionale non passa inosservata all'altro sesso sebbene, tra un amore frivolo ed un altro, si trova ancora incerta se continuare a stare insieme ad Elvis, suo fidanzato conosciuto ai tempi delle superiori. Nonostante i suoi continui tradimenti e un paio di aborti, lui rimane sempre innamorato e al suo fianco, deciso a sopportare le sue inquietudini e la sua fedele emicrania che la rende spesso bisbetica e nervosa. Ne è sempre stata affetta, Maura, sin da adolescente, resa sempre più assillante dalla sua tossicodipendenza da farmaci e droghe.

 

Ella sostiene che per essere libere ed emancipate nella vita bisogna sperimentare tutto.

Con il suo infantile entusiasmo combinato ad un certo lassismo si lascia trasportare dagli eventi, viaggia, si diverte, si ubriaca, fuma, si macchia di numerosi tatuaggi, accumula ogni sorta di esperienza. Usa le singole circostanze come un teatrino ad uso e consumo di e per sé stessa. Ama essere al centro dell'attenzione, essere notata, ammirata, cercata. Annovera tanti amici come lei e il loro coinvolgimento non fa altro che accrescere la sua voglia di presenziare e primeggiare.

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Ultimati gli studi, il lavoro scarseggia, le idee non le mancano ma i fondi non le permettono di attuarle. Un bel giorno, a corto di nuovi stimoli e annoiata dal tipo di vita girovaga e superficiale, decide di punto in bianco di sposare Elvis.

Il matrimonio è studiato in tutte le sue minime sfaccettature e celebrato in chiesa davanti ad una folla in delirio, lei in vestito da sposa in grande stile, fuori dagli schemi, lui in completo convenzionale. Davanti a Dio giurano di amarsi e onorarsi finché morte non li separi.

Dall'unione dei due sposi nascono Alice e Cora, due bambine viziate che frequentano la scuola paritaria, gli scout e le attività parrocchiali del piccolo paese di provincia paterno.

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Maura conosce tutti e si fa conoscere da tutti come moglie e madre modello. Ha messo giudizio, ha messo il suo giudizio sopra ogni cosa e persona.

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Il matrimonio e la maternità non l'hanno cambiata. Soffre ancora di emicranie ed è ancora dipendente dai farmaci che assume regolarmente per curare il mal di testa.

Riversa il suo egocentrismo non più nelle feste senza freni ma sui social network. La sua voglia di protagonismo traspare in ogni suo post pubblicato, in ogni sua reazione, in ogni suo commento.

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La sua onnipresenza on-line è ingombrantemente virale.

 

Con orgoglio fornisce consigli di pediatria, di cucina, di economia domestica, di imprenditorialità, di design. Se ne esce con citazioni filosofiche pescate qua e là in rete, predica perle di saggezza, elargisce preghiere, condivide messaggi di speranza, incoraggia i giovani talenti, interagisce con persone da tutto il mondo, pur non conoscendo nessuna lingua straniera, promuove e pubblicizza ogni evento della sua vita privata e pubblica. Partecipa ad ogni manifestazione di paese e si lancia nei progetti più disparati. Sponsorizza il messaggio clericale, i gruppi, la musica e il canto religiosi, le iniziative benefiche, si candida pure alle elezioni comunali ma non riesce ad essere eletta.

 

Ripiega, allora, su un lavoro come assistente. La famiglia diventa il suo nuovo centro d'interesse. Comincia a desiderare molti bambini da poter esibire e coronare il suo primato genitoriale.

 

Alla vigilia dei quarant'anni rimane incinta di Giambattista, assecondando, così il suo immane desiderio di avere un maschietto.

Elvis è rimasto senza lavoro ma non le importa, ci penserà lei a mantenere la prole solo con l'ottimismo e l'energia.

 

La visibilità è tutto per lei.

 

Si immortala in selfie a cene, pranzi, colazioni, gite, incontri con le nuove amiche, tutte rigorosamente mamme pazze di lei. Si accompagna sempre a donne maritate con prole al seguito. Le amiche non coniugate di vecchia data non possono più far parte della sua nuova vita. Le amiche sposate senza figli non meritano di essere frequentate poiché, da assidua delle messe domenicali, un matrimonio senza scopi prolifici non è ammesso. Si nega a tutte quelle persone indegne della sua nuova immagine costruita ad arte per il suo nuovo pubblico reale e virtuale.

 

Il giudizio di Maura è perentorio e insindacabile. Rinnega, nega, sentenzia, evita, snobba, seleziona a suo piacimento. Il suo essere donna, lavoratrice, moglie e madre l'ha convinta ad avere una certa superiorità e supremazia nei confronti di chi non rientra nei suoi nuovi canoni autoimposti. Il suo incommensurabile giudizio tocca tutti ma nessuno può osare altrettanto, pena una severa critica e l'ostracismo di tutta la sua ammaliata corte.

 

Maura è ciò di cui si nutre ed è nutrito il suo piccolo mondo: insicurezza, complessi, ipocrisia, ignoranza.

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MORALE: Gli amici si scelgono

 

Le persone che frequentiamo impattano notevolmente sulla nostra salute psico-fisica. Si rende, perciò, indispensabile interrogare il nostro mondo interiore (Come mi sento? Qualcuno ha urtato i miei sentimenti? Mi ha umiliato/a? In che modo? Cosa mi ha ferito/a? Perché penso che abbia detto o fatto ciò che mi ha contrariato/a? Scherza in maniera rispettosa e affettuosa? In quale circostanza ho assecondato tale atteggiamento? Qual è il limite che sono in grado di sopportare? Cosa non tollero assolutamente? Cosa mi porta a frequentare tale/i persona/e?)

Ognuno di noi ha il dovere, nei propri confronti, di attivare una selezione accurata delle amicizie, finalizzata a circondarci solo di persone con cui stringere legami autentici che ci facciano sentire a nostro agio sia con loro che con noi stessi.

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*Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale poiché ogni storia, raccontarticolo e racconto è opera di fantasia e frutto dell'attività creativa dell'autrice.

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SPECCHIO DELLE MIE BRAME
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SPECCHIO DELLE MIE BRAME*

Storia on-line

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La chiamano Ponia per il suo sorriso sornione, per la sua statura bassina e per il portamento non proprio elegante, dovuto ai suoi trascorsi di ragazza in sovrappeso.

Per mascherare la sua estrema timidezza e riscattarsi dalla sua scarsa autostima, esibisce boriosamente il suo essere una madre adottiva con la stessa disinvoltura del suo vestiario, un abbigliamento alquanto eccentrico che porta ad esempio sé stessa, trovando nei particolari dissonanti e negli accessori improbabili la cifra del suo stile individualista.

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Per non sentirsi sola nel suo universo di complessi ha pensato bene di immettersi nel filone delle saccenti che le permette di non passare inosservata.

Se l’avessero mai criticata sarebbe stato per la sua parlantina veloce e non per il suo aspetto fisico che trova non all’altezza delle sue aspettative.

Non perde tempo, infatti, a far notare i suoi, a suo dire, difetti fisici, le gambe grosse, i polpacci troppo sviluppati, le braccia flaccide, la mezza statura e l’appena accennato strabismo, spacciando le sue dissertazioni estetiche per autoironia.

In realtà, cerca continuamente la smentita alle sue descrizioni così minuziose con dovizia di particolari, dimostrando di possedere anche una discreta dose di civetteria.

 

Si elegge portavoce e si erge a paladina di tutte coloro le quali, a suo modo di vedere, presentano le sue stesse o simili caratteristiche morfologiche con la sola differenza che loro, al contrario di lei, si accettano con clemenza e si piacciono.

Non ama indossare i pantaloni che metterebbero in risalto le sue asimmetrie prediligendo, invece, le gonne larghe dai colori vivaci per distogliere lo sguardo dalle sue imperfezioni e i tacchi alti per slanciare l’intera sua figura.

 

Ponia sente di avere una vocazione da condividere e trasmettere agli altri, quella di sapere tutto lei.

Nessuno è bravo quanto lei, nessuno conosce meglio la materia sulla quale è efferatissima per studi ed esperienze, non tenendo conto, però, che tanta erudizione va sempre dosata, mai spiattellata.

 

Ostentata nella sua forzata allegria risulta quasi odiosa nella sua persistenza.

 

Permalosa, dispettosa, rancorosa e vendicativa, sotto forma di non spontanea simpatia, trova sempre il modo per sminuire il suo interlocutore liquidandolo con una battuta schietta e pungente. Non è raro che cancelli repentinamente l'iscrizione alla sua newsletter coloro i quali osino muoverle qualche critica costruttiva o testimoniare la propria motivata non soddisfacente esperienza.

Trovandosi per scelta in mezzo a persone che pendono dalle sue labbra, in attesa di un suo consiglio, di una sua direttiva, di una sua personale visione o di una soluzione ad una problematica esposta, Ponia si sente a suo agio nel dispensare pedantemente le sue pillole di filosofia spicciola, sempre pronta a cogliere il più impercettibile grido di aiuto.

 

Non sempre, però, mantiene i suoi buoni propositi.

 

A furia di non ascoltare i suoi interlocutori, di porsi sempre al centro dell’attenzionedi affermare nervosamente le sue verità e rimarcare con veemenza l’inettitudine altrui a suon di osservazioni puntigliose e lezioncine da maestrina sapientona, perde la sua credibilità.

Scambi di nomi e di persona, errori di valutazione, giudizi affrettati, ritardi nell’espletare un servizio da lei promesso, compromettono non solamente la sua reale o presunta capacità di svolgere correttamente il proprio lavoro, ma, soprattutto, la fiducia che molti individui ripongono nel suo sfoggiato operato.

 

La tanto decantata e pubblicizzata professionalità lascia il posto allo scontento e alla delusione.

 

Non bastano le poche ed entusiasmanti recensioni, più o meno artefatte, del suo patinato blog per infondere un sentimento benevolo, ispirare uno stato d'animo positivo; comunicare e trasmettere qualità, abilità, energia. Ponia, crogiolante nella sua boria straripante, questo non lo sa.

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MORALE: Diffidare dei professionisti maleducati, presuntuosi e permalosi!:-)

 

Per quanto un/a professionista sia conosciuto/a, volenteroso/a, preparato/a nel suo settore di riferimento, ciò non equivale che sia anche una bella persona, che abbia un carattere ed una educazione tali da essere in grado di rapportarsi adeguatamente con i più variegati clienti ed adottare un atteggiamento sempre professionale verso qualsiasi voce che non sia volta esclusivamente a favorire e nutrire il suo "ego".

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GIULIETTA
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GIULIETTA PIGLIATUTTO*

Storia on-line

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Giulietta, ventisette anni, conduce la classica vita della ragazza ricca e viziata.

Si trastulla per il mondo, spende eccessivamente in accessori e beni di lusso, gira in auto sportive e il suo yacht è luogo di festosi eventi, in compagnia di persone frivole e superficiali come lei.

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Possiede tutto ma, nonostante ciò, avverte un grande senso di vuoto. Le manca l’amore.

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Lo va cercando tra i ricconi della sua ristretta cerchia di amicizie altolocate e lo trova in un uomo bello, prestante, agiato, con un lavoro che gli permette di soddisfare tutti i suoi capricci, tra cui l’innamorata Giulietta.

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Lei, però, non ha messo in conto il suo carattere irascibile e la sua vita dissennata. Le varie tipologie di dipendenza che lo attanagliano minano la loro relazione, durevole il tempo dello stappo di una bottiglia di champagne. A seguito di ciò, Giulietta ha un crollo fisico e psicologico.

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In preda ad un ciclone emotivo, il suo malessere aumenta finché non viene ricoverata per un lungo periodo di tempo in una clinica specializzata.

Trascorrono 10 anni e Giulietta ha costruito un impero multimilionario. Si è sposata con un giocatore di poker, ha una villa con piscina e campo da tennis, ha il suo autista di fiducia, il suo cuoco personale, il quale soddisfa alla lettera ogni sua voglia alimentare, e ha adottato due bambini, con i quali ama fare selfie di linguacce e smorfie irriverenti da pubblicare sui suoi numerosi profili social.

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Voleva girare il mondo e lo ha girato, voleva diventare una imprenditrice di successo e lo è diventata, voleva essere il faro di adoranti seguaci e lo è, voleva dimagrire ed è calata di peso. Si è tolta perfino lo sfizio di avere uno spazio tutto suo in una radio nazionale parlando di sé stessa. Poi, se il programma radiofonico ha funzionato o meno, è tutta un’altra faccenda. È conosciuta nell’intero pianeta e ha realizzato tutto ciò che si era prefissata come un robot programmato a raggiungere obiettivi definiti.

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Suo malgrado, ancora una volta, prova una grande frustrazione nel non riuscire a colmare il senso di vuoto che non l’abbandona mai.

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Ha una crisi di nervi, dovuta, probabilmente, alla sua forsennata ricerca di risposte alle sue domande esistenziali: “Chi sono?”, “Che scopo ha la mia vita?”, “Sono felice?”, “Sto vivendo come voglio?”, “Cosa posso fare di più?”

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Ripercorre mentalmente la vita dei suoi ultimi dieci anni e si accorge che non è soddisfatta. Ha tutto, è invidiata da tutti, ma cosa conoscono gli altri di lei veramente? Gli abiti firmati che sfoggia? Gli eventi mondani a cui partecipa? Le personalità di spicco che frequenta? La sua esistenza patinata sulle riviste e sui social media?

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L’autoreferenza non l’appaga più. Capisce di voler condividere ben oltre le apparenze. Non solo, desidera anche arrivare al cuore della gente, aiutare le persone, proprio lei che non sa aiutare nemmeno sé stessa, ma non importa. Il suo nuovo obiettivo è diventare popolare al di fuori del gruppo esclusivo che si è creata, il punto di riferimento di tutti coloro che si sentono smarriti.

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Le risulta facile assumere un professionista che scriva per lei, una psicologa che parli per lei, una guida spirituale che le insegni a meditare, un social manager che amministri le sue pagine virtuali, i suoi gruppi, le sue communities, una fotografa che scatti i lati migliori della sua figura artefatta, una consulente d’immagine che la valorizzi, un web designer che confezioni il suo nuovissimo sito web. Coinvolge il marito nell’impresa e mette in bella mostra anche i suoi figli, si circonda di due cani che compaiono onnipresenti in ogni sua foto di pubblico dominio per attirare nuovi seguaci e aggraziarsi gli amanti degli animali.

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Con tutto il denaro che ha a sua disposizione può permettersi di comprare l’eccellenza in ogni campo. Così si convince, un giorno, quasi per noia, che vuole scrivere la sua autobiografia e lo fa. Pubblica il suo primo libro in cui, attraverso le sue esperienze di vita, dispensa consigli su come raggiungere il benessere interiore, come controllare l’emotività ed afferrare la felicità.

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Molti suoi fans sono inebriati dalla sua nuova veste, pendono dalle sue labbra e a lei tutto questo potere sulle persone comuni piace.

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Firma copie estasiata dalla sua nuova carica, convinta di essere diventata una rinomata scrittrice, dal nulla, senza studi né preparazione di alcun tipo. Ma lei può tutto e il suo gregge asseconda il suo stato delirante di onnipotenza.

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Sono anni intensi ma le sue domande rimangono in sospeso e la sua ricerca perdura tra autografi, scatti di fotografie e inviti da tutte le parti.

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Giulietta è allo stremo delle sue forze. Non può più continuare a giocare a rivestire più ruoli. Perché sente un immenso vuoto dentro di lei? Cosa le manca? Fare l’attrice. Perché non cimentarsi in televisione? E perché non in teatro o fare cinema?

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I suoi piani organizzati minuziosamente riescono nella vita professionale e le sue entrate economiche aumentano grazie alle persone che la cercano e reclamano a gran voce come una dea incarnata e salvatrice di anime.

A livello personale prova ancora solo frustrazione. È una persona di testa, non di cuore.

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Giulietta si sta perdendo di vista, ci sta rimettendo in salute fisica e psicologica, non si ascolta, non si ama, mendica affetto, non mette in pratica ciò che propaga agli altri con tanta falsità.

Rifugge il vuoto esistenziale, divenuto sempre più una voragine, facendo della sua vita una totale condivisione pubblica, in cerca di accettazione, rassicurazione, venerazione.

È la missione assoluta delle sue giornate dense di frasi motivazionali, consigli, prediche, sermoni che li ritornano addosso come grandi boomerang.

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Ben presto, infatti, le folle adoranti che fino a ieri erano disposti a comprare tutto ciò che propinava loro, si trasformano improvvisamente in persone che l’abbandonano, disaffezionate e stanche di lei, disinteressate della sua, in fondo, miserevole vita.

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MORALE: Non si placa il vuoto esistenziale cercando all’esterno ciò che all’interno non si trova.

 

Circondarsi di ricchezze, fama e successo non dona in automatico, la pace interiore, la serenità, l’energia positiva. Investire il prossimo della propria infelicità, insoddisfazione e frustrazione non è la soluzione ai propri problemi, disagi, malesseri.

Coltivare l’interiorità, porre l’attenzione sulla propria essenza, essere sinceri con sé stessi, non negare la verità su chi si è nel profondo, prendere coraggio su cosa perseguire al fine di un ben-essere duraturo, è un lavoro che richiede tempo, pazienza e un buon grado di consapevolezza. L’esistenza umana è una conoscenza continua di sé stessi, un’evoluzione, un viaggio verso il miglioramento che solo un individuo responsabile, centrato, equilibrato, volenteroso, curioso, dinamico, determinato a sapere chi vuole diventare e impegnarsi su cosa è in grado di svolgere al meglio per vivere al massimo del suo potenziale, può scoprire.

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MA CHI TE LO FA FARE?
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MA CHI TE LO FA FARE?*

RaccontArticolo

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Ma chi te lo fa fare?

 

Di prenderti tanti impegni, di correre come una pazza per riuscire ad incastrare tutto?

 

Di riempirti le giornate all’inverosimile senza fermarti un attimo? 

 

Di infoltire l’agenda di incombenze, impegni e attività? 

 

Di sforzarti a ricordare date, compleanni, riunioni, assemblee, inviti, eventi?

 

Di essere attiva sui social, postando quanto sei brava, bella e buona con selfie sempiterni e onnipresenti a volontà?

 

Di andare in palestra, di frequentare corsi, di accompagnare in tutta fretta i figli a scuola, di fare volontariato in patronato, di renderti sempre disponibile e servile con tutti? 

 

Di caricarti di zaini, borse, cartelle, tabelloni, cose tue e dei tuoi figli mentre tuo marito ha solo un piccolo e leggero borsellino con l’essenziale per lui?

 

Perché?

 

Perché credi in tutto quello che fai, mettendoci tutto l'amore possibile.

 

Perché lungo il tuo frenetico cammino incontri persone più brave di te, più impegnate di te, più disponibili di te, più efficienti di te.

 

Perché alla resa dei conti ricevi il doppio, forse il triplo di quello che hai dato.

 

Perché rafforzi le amicizie e ne trovi di nuove.

 

Perché non esiste un tesoro più grande da farti sentire ricca che non sia avere l’approvazione e l’affetto di tutti.


Povera illusa!

 

Così ti piace pensare per giustificare il tuo malessere interiore e compensare il tuo senso di insicurezza e di vuoto.


Perché mentre ti crei gli alibi ad hoc, tuo figlio cresce senza la presenza di sua madre troppo impegnata a competere, a primeggiare e a farsi commiserare dalle amiche uguali a te, tuo marito ha una vita a sé, ormai rassegnato e condannato ad eseguire perfettamente gli ordini e le commissioni assegnati, pena urla isteriche, critiche, rimproveri e insulti.

 

Le pastiglie per il tuo mal di testa, la tua insonnia, la tua ansia, i tuoi dolori indotti vari sono da tempo sulla lista della spesa.

 

Le tue giornate non sono mai abbastanza lunghe, i calendari, gli appunti, i bigliettini, le sveglie, i promemoria ti fanno sentire vitale e indispensabile.

 

Mentre la tua vita di coppia annaspa nella sua routine fatta di tabelle di marcia quotidiane e hai abilmente subissato i tuoi figli di ogni genere di occupazione tra sport, balletto, corsi di lingue, parrocchia, ... per poi parcheggiarli nei tempi morti dai nonni, tate, baby-sitter, guardi di sfuggita e nei ritagli del tuo prezioso tempo le foto dei tuoi bambini sulla scrivania al lavoro, sul cellulare, nel portafoglio, con un profondo senso di colpa perché non li puoi adeguatamente educare, non riesci nemmeno a riscattarti nei giorni festivi, baratti la tua presenza con valanghe di giocattoli e paghette eccessive per conquistare il loro affetto e rispetto.

 

Forse, sei solo un’egoista ma non vuoi rinunciare a nulla forte della convinzione che il multitasking è necessario, è inevitabile, è doveroso per ogni donna.

 

Il paragone con le altre tue amiche mamme, colleghe in carriera, conoscenze interessate, scatta in automatico.

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La gara è sempre aperta.

 

Ti senti costantemente sotto esame, giudicata, osservata, valutata, così ti reputi con la tua superbia autorizzata a condannare ed escludere dalla tua cerchia le donne che non sono come te, che non pensano come te, che non agiscono come te.

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Chi non ha figli non può capire, chi non è sposata non può capire, chi non lavora fuoricasa non può capire.

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Senza mai ammetterlo sei in fondo gelosa e invidiosa di chi riesce ad avere un matrimonio sano, di chi opta con coraggio per la vita domestica per il bene della famiglia, di chi si accontenta umilmente di vivere con un solo stipendio senza pochi sacrifici, di chi decide di non mettere al mondo dei figli per non sacrificarli sull’altare dell’egocentrismo, di chi volontariamente si ritaglia del tempo per rilassarsi, leggere, meditare, coltivare in tutta tranquillità le amicizie senza pregiudizi e gli hobby, di chi si impone di godersi la vita senza condizionamenti, di chi si è felicemente ritirata dalle folli corse di sfinimento collettivo femminile, di chi ha scelto prima di tutto il benessere psico-fisico, di chi non si rifugia dietro a pretesti di comodo e attenuanti di parte.

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Lungo il tuo frenetico cammino guardi e ammiri chi è più impegnata di te ma chi è più equilibrata di te vive molto meglio e più a lungo.

 

Stancandoti, logorandoti e facendoti sopportare a casa, sul luogo di lavoro, sui social, in famiglia in cerca di solidarietà, elogio, comprensione e sostegno, non fa di te una bella persona.

 

Chiunque ha una vita già piena di doveri senza il bisogno di crearsene degli altri.

 

Una donna iperattiva, nervosa e stressata oltremisura è davvero un bel modello da prendere ad esempio?

 

Perché ti sei sposata, hai avuto dei figli, hai un lavoro dentro casa e ne cerchi uno fuori quando hai la fortuna di farne a meno, sei sempre di corsa, in lotta contro il tempo, ti circondi di persone adoranti più frustrate di te, ti prendi mille e più incarichi?

 

Ma chi te lo fa fare?

 

Se è solo una tua libera scelta consapevole, almeno abbi la decenza di non lamentartene.

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*Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale poiché ogni storia, raccontarticolo e racconto è opera di fantasia e frutto dell'attività creativa dell'autrice.

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PERSONE INCONCLUDENTI
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PERSONE INCONCLUDENTI*

RaccontArticolo

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Quante volte è capitato nel corso della vita di incontrare, conoscere, frequentare una o più persone inconcludenti?

 

Sembra incredibile di quante ce ne siano.

Tutt’al più sono individui, uomini e donne, simpatici, sinceri, attraenti, intelligenti, acculturati.

Con la loro bella faccia tosta, sono sempre in movimento, assaliti da una frenesia costante che si manifesta nell’avere molte attività, relazioni sociali, idee brillanti ma che finiscono con un nulla di fatto.

Queste persone, infatti, sono incapaci di finalizzare un progetto, di concretizzare un proposito, di impegnarsi a lungo termine.

 

La tenacia e la costanza si scontrano con la nebulosa dei loro pensieri che rimangono tali senza compimento in azioni o fatti reali.

La praticità è sconosciuta all’inconcludente a cui piace crogiolarsi nella propria confusione mentale, vantarsi di avere notevoli amicizie e di trasmettere energia, entusiasmo, vitalità.

 

Questo dispendio di forze non è indirizzato a portare avanti un risultato tangibile, solo tanta fatica e molto fragore per nulla.

 

Gli inconcludenti riescono a mostrarsi ottimisti, generosi, sanno farsi piacere e amare poiché sfoderano grandi doti attoriali, promettono e sanno essere anche molto convincenti, macinano speranze e mietono illusioni.

Il magnetismo è tale che molte persone sono ammaliate da loro.

Sono anche spesso fautori di molte iniziative sociali, sono onnipresenti ad eventi e grandi affabulatori, sanno approfittare delle abilità altrui per poi spacciarle per proprie.

Si fanno fotografare, si fanno invitare, si fanno presentare, si fanno ambire.

Sprigionano gioia ed entusiasmo contagiosi che si esauriscono quando l’apparenza lascia il posto all’approfondimento.

 

I socievoli ad oltranza inconcludenti sono di sovente dei solitari immersi nella mischia in cerca di approvazione e di accettazione, di riconoscimento e di gratificazione personali. Sono insicuri, infantili, immaturi, egoisti ed egocentrici poiché tutto deve essere fatto come, quando e dove vogliono loro, pretendono senza in cambio donare, si agitano e si mettono sulla difensiva quando qualcuno osa criticarli, attaccano quando si sentono minati da una persona che non si inchina al loro cospetto.

 

Immuni dal loro fascino fuorviante le persone con i piedi per terra ostacolano le manie di grandezza degli inconcludenti che a parole non hanno eguali ma in quanto a fatti scarseggiano di successi.

Vite condotte con un obiettivo preciso senza saperlo perseguire, percorsi di studi altalenanti e zoppicanti, lavori senza convinzioni, relazioni superficiali, intenzioni che cadono nel vacuo si accompagnano al sogno e alla visione ideale dell’inconcludente.

Egli non ha la percezione di esserlo anzi, si crede realista, pratico, stacanovista e si offende se gli si fa notare il contrario.

Il suo problema è di perdersi nella prolissità della sua mente, di coinvolgere conoscenti e amici in imprese destinate a fallire.

Abituati come sono a gestire il loro tempo da soli e per sé stessi, gli inconcludenti non sanno interagire alla pari, non tollerano intrusioni, osservazioni, vie alternative.

Danno per scontato che tutto ciò che passa loro per la testa sia chiaro e indiscutibile ai terzi, che il loro ambiente sia organizzato al meglio.

Poco importa se l’improduttività, l’incoerenza e la mancanza di logica siano l’effetto di astrattismi virtuosi, concetti utopistici, parole al vento.

Gli inconcludenti vogliono avere sempre ragione, non si lamentano, non hanno coscienza dei problemi né se li creano, semmai sono gli altri che non li capiscono, non li assecondano, non li seguono.

 

Non c’è niente che si possa fare per loro, non si possono aiutare tantomeno cambiare.

 

Chi non ama girare a vuoto, lasciarsi prendere in giro e perdere tempo lasci gli inconcludenti alla loro inettitudine.

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*Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale poiché ogni storia, raccontarticolo e racconto è opera di fantasia e frutto dell'attività creativa dell'autrice.

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HO RAGIONE IO!
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HO RAGIONE IO!*

RaccontArticolo

 

Una serratura rotta.

Chi la deve aggiustare, il proprietario Fabiano o l'inquilino Mauro?

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Appurato, dopo varie letture di articoli, commi di codice civile, leggi, norme contrattuali, ecc., che, nel caso specifico, spetta all'inquilino sostenere la spesa per la riparazione, ecco che questi si ribella e controbatte, non per la profonda conoscenza dei suoi diritti e doveri, bensì per orgoglio, per un suo personale punto di vista, per una sua opinione, oltre che per una certa taccagneria.

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Fabiano ribadisce il suo essere nel giusto, Mauro non ne vuole sapere. I toni tra i due si fanno sempre più accesi. Non se ne esce.

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Il proprietario (che ha ragione) e l'inquilino (che non sente ragioni) inaspriscono i loro rapporti sempre stati ottimi, portando avanti la propria personale "battaglia" destinata, forse, ad arrivare ad una causa civile, a coinvolgere avvocati, perdere tempo, sottrarre energie, spendere molto più denaro di una semplice riparazione da pochi euro e, sicuramente, a rovinare definitivamente il rapporto reciproco, costruito nel tempo, di rispetto e di stima.

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Per una piccola spesa stanno perdendo un'amicizia.

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Il proprietario (persona intelligente) che ha tutte le ragioni e la legge dalla sua parte per pretendere la riparazione a spese dell'inquilino (che si rivela essere, invece, una persona arrogante e ignorante), compie un gesto che mette un punto a questa degenerativa questione: sostiene lui la spesa, augurando all'inquilino ogni bene.

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Ma che scherziamo?!?

​

Alla domanda: "Perché l'hai fatto?" il proprietario ha risposto: "Ci sono già tante guerre nel mondo, troppa aggressività e ostilità tra le persone, innumerevoli difficoltà nella vita, perché compromettere ulteriormente le mie giornate per una questione così futile?"

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Quante volte una parola detta con il tono sbagliato o in un momento inopportuno guasta un rapporto, quante volte ci incaponiamo su questioni inconcludenti, agiamo per un gioco di forza, principio o per orgoglio, perseveriamo in atteggiamenti che logorano noi stessi e gli altri, vogliamo far valere a tutti i costi le nostre ragioni anche quando ciò comporta conseguenze deleterie, specie nei rapporti con chi teniamo di più?

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Ogni tanto, ragionare a freddo, fare un passo indietro, non prevalere per forza, scegliere il quieto vivere non significa essere perdenti, arrendevoli, deboli o in torto (come potrebbe erroneamente pensare la controparte), è dare priorità a ciò che riteniamo, in quel momento, essere più importante.

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Il proprietario aveva capito che venirsi incontro non era possibile, che "muro contro muro" non paga mai e che, di conseguenza, perseverare nelle rispettive posizioni contrapposte avrebbe portato inevitabilmente ad uno scontro sempre più disastroso, in più, senza ottenere la garanzia di una risoluzione a lui favorevole. Se l'inquilino non "retrocedeva" spettava a lui (più saggio e lungimirante) porre la parola FINE nella maniera più indolore possibile.

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Con il suo gesto il proprietario ha avuto ciò che voleva maggiormente: non degenerare il rapporto con l'inquilino (che aveva sempre pagato l'affitto regolarmente), il quale, non avrebbe mai testardamente sostenuto quella spesa.

Giusto o sbagliato che sia hanno entrambi ritrovato un equilibrio e l'armonia di un tempo.

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- Preoccupati di essere felice. Non di avere ragione. -

(Buddha)

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