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  • Riflessi di Una Mente

IL BRUTTO VIZIO DI (STRA)PARLARE



L’Essere umano è un "animale" sociale e per questo necessita di interagire, scambiare, confrontarsi, comunicare con gli altri suoi simili.


Il problema nasce laddove aprire la bocca per pronunciare sproloqui, dire scemenze, colmare il silenzio che viene erroneamente percepito come un “vuoto”, imporre la propria presenza fischiettando, canticchiando, importunando, coinvolgendo a forza chi, invece, vuole starsene tranquillo con i propri pensieri, va ben oltre il naturale bisogno di socializzare.


Il silenzio fa molta paura nonostante sul pianeta Terra ve ne sia prevalentemente e diffusamente nei sottosuoli, nelle lande deserte, nelle profondità degli oceani. In ogni dove ha messo piede, l’Uomo è riuscito a portare ogni sorta di inquinamento, atmosferico, luminoso e acustico.


Ristoranti, alberghi, negozi, centri commerciali, parcheggi, taxi, hanno tutti come sottofondo non solo l’inevitabile vociferare delle persone ma, tanto per aumentare il livello di confusione, anche trasmissioni radiofoniche, musica, messaggi pubblicitari, ...

E non solo. Il brutto vizio di riempire il temuto silenzio con radio e televisori ha contagiato anche ospedali, cliniche, studi professionali, medici, dentistici in cui il benessere del curante dovrebbe prevalere sul presunto bisogno di compagnia forzata. Non occorre più andare in locali o discoteche.

Non si ha più la facoltà di scegliere. Non c’è sala d’attesa, ascensore, atrio, corridoio immune da colonna sonora. Ma neanche con la musica la più invasiva e assordante i logorroici si placano. Basta alzare il volume della voce e il frastuono totale è assicurato quanto il mal di testa e di rottura di timpani.

Non vengono risparmiati neppure le telecronache televisive che siano sportive o culturali.

Commentare l’evento è una cosa, parlare ininterrottamente durante l’intero svolgimento con opinioni superflue e discutibili è una vera tortura.


Molto fastidioso risulta, inoltre, essere il continuo replicare dei commentatori su un brano musicale che si avrebbe piacere di ascoltare nella sua interezza, addirittura sull'inno nazionale che non sia il proprio, sulle cerimonie di apertura dei giochi olimpici, sui balletti classici, sulle gare, rappresentazioni e competizioni.

Il flusso continuo di parole supera l’eventuale traduzione simultanea e la spiegazione necessaria.


Quando il troppo è troppo, il piacere di ascoltare non è più un piacere, diventa una molestia.


Ormai si proferisce parola per il gusto di sentire la propria voce, incuranti dell’interesse che le argomentazioni dovrebbero suscitare nel proprio interlocutore, si parla per crogiolarsi, per manifestare qualsiasi cosa sia puramente indifferente al prossimo, a sproposito, a vanvera, malgrado non interpellati, per spettegolare.

Si parla, sempre più spesso gridando, comunque e dovunque e sempre meno si ascolta, si ragiona, si prende atto, si chiede, si rispetta.


Comunicare, fabbisogno di ogni essere vivente, è decisamente tutt'altro.




RIFLESSIONI

Ascoltare molto e parlare poco, bene e a proposito. Di difficile attuazione in questa "era della comunicazione" in cui tutti si sentono in potere e dovere di dire la propria su tutto e tutti. Perché tacere risulta essere così faticoso?

“Tacere quando si è obbligati a parlare è segno di debolezza e imprudenza, ma parlare quando si dovrebbe tacere, è segno di leggerezza e scarsa discrezione.” Joseph Antoine Toussaint Dinouart.


Tu cosa ne pensi?



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