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  • Riflessi di Una Mente

IL RISPETTO



Sinonimi di rispetto sono: deferenza, riverenza, riguardo, ossequio.


Esaminiamo quanto questi concetti siano presenti nella nostra vita di tutti i giorni.


Si inizia al mattino con la sveglia che suona alle sette. Ci si sveglia di soprassalto e di cattivo umore, invece, alle sei per i rumori molesti provenienti dal vicino vedovo e pensionato del piano di sopra il quale, ben arzillo, cammina su e giù per la casa con le scarpe, accende la televisione ad alto volume e trascina in continuazione le sedie stridenti per poi uscire alle nove e ritornarvi un quarto d’ora dopo dal bar di fronte a casa per ricoricarsi.


Si abbandona l’uscio incappando per le scale nei bambini chiassosamente capricciosi che non vogliono andare a scuola e le madri urlanti che fanno tardi al lavoro.


Finalmente si esce dal cancello per imboccare la via del traffico e beccarsi, a torto, le imprecazioni di qualche automobilista incivile.


Si arriva in ufficio, già con l’acidità di stomaco, dove si prospetta una giornata di duro lavoro. Pratiche da portare avanti, scadenze da rispettare, riunioni, e così via. Andrebbe tutto bene se l’ambiente lavorativo fosse un luogo veramente di lavoro in cui produrre seriamente anziché sede di pettegolezzi, tresche, lamentele e rassegne di fatti privati che non interessano a nessuno. Alcuni, certamente, scambiano la sede lavorativa per la piazza del mercato o lo stadio.

Le macchinette del caffè andrebbero abolite poiché futile luogo di ritrovo per indecorosi schiamazzi. È sbalorditivo di quante stupidaggini riesca a dire in pochi minuti l’Essere umano ingurgitando il suo ennesimo caffè. Almeno, costringendolo a servirsi del bar fuori, ne gioverebbe il lavoro e chi tenta di farlo. Dopotutto, si viene pagati per questo.


La pausa pranzo è un’altra tragedia. Si opta tra il mangiare soli davanti alla scrivania in balìa degli sguardi indiscreti e odori di cibarie varie o tutti come pecorelle affrettarsi a raggiungere la mensa per accalcarsi gli uni sugli altri, orologio alla mano e sperare che in una mezzora si riesca a sfamarsi.

Quando si è a tavola con i colleghi, malgrado la bocca piena, è anche difficile scambiare quattro parole senza toccare argomenti di lavoro. È inevitabile. Si spazia dagli acciacchi di ognuno alla vita privata, la quale, inesorabilmente, privata non è più. Guai a sottrarsi a domande impertinenti, si potrebbe sollevare il brutto sospetto che si nasconda qualcosa o, peggio, essere etichettato quale antipatico e asociale. A ben vedere, oltre al rispetto, la riservatezza è un altro “modus vivendi” poco praticato.


La diversità di vedute, opinioni, scelte, comportamenti è malvista, non condivisa e poco capita. Si condanna, si giudica, si depreca come se esistesse un’unica strada, un unico indirizzo, un unico pensiero per essere accettati. Omologazione di idee e azioni, per forza.


Finita la giornata di lavoro non resta che trovarsi con gli stessi colleghi, i quali, evidentemente, non sono ancora stufi delle obbligatorie otto ore passate insieme oppure, per evitare il triste resoconto della giornata in famiglia, fare un giro per le vie affollate, andare per i negozi in mezzo alla confusione, rinchiudersi nell’aria viziata della palestra. Sono molti i modi per abbreviarsi la vita.


Alla sera si torna a casa, stanchi, non per godersi il meritato riposo ma per battagliare nuovamente contro i vicini di fianco che invitano alle ore piccole gli amici, probabilmente tutti sordi, date le voci alte a sovrastare la musica frastornante e le risate sguaiate. Per non parlare dei bambini che corrono lungo il corridoio e giocano saltando nervosamente incuranti del rimbombo atroce attraverso i muri, del per niente diligente pensionato che si corica su un letto a molle cigolanti dei tempi antichi e della moglie che, presa dalla noia, mette in moto la rumorosa lavatrice a mezzanotte.


Un quadro esagerato? Può darsi.


Basterebbe un po’ di tatto per relazionarsi con gli altri, un po’ di buon senso per andare tutti d’accordo, un po’ di educazione per vivere sereni, un po’ di disciplina per regolare i gratuiti eccessi. Solo un po’.


Si esige il rispetto ma non lo si concede, si invoca la libertà ma non la si conosce, si rivendica il diritto ma non lo si applica, si inneggia alla “privacy” ma non la si invoca.


Pudore, sobrietà, equilibrio sono sconosciuti alla massa.


Referenza, riverenza, riguardo, ossequio, rispetto, sono, forse, vocaboli troppo impegnativi e faticosi da mettere in pratica in confronto al loro più facile e comodo contrario: il disprezzo.


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