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NON È MAI TROPPO TARDI PER ESSERE INTROVERSI

  • Immagine del redattore: Riflessi di Una Mente
    Riflessi di Una Mente
  • 4 feb 2020
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 12 mar

























«Si suggerisce di inserirlo/a in attività di gruppo».

Questa valutazione era la tipica presente in molte pagelle scolastiche nella civiltà con il mito dell’estroversione. Dagli antichi Greci e Romani, passando alla Bibbia per giungere ai giorni odierni, non si capisce ancora come mai sia così importante nascere o diventare esuberanti, chiacchieroni, aggressivi.

Una società che esalta, premia e loda il culto della personalità, poco spazio lascia a chi è naturalmente più incline alla pacatezza.

Sin dall’infanzia un bambino occidentale viene educato alla socialità, all’azione, all’intraprendenza, in contrapposizione a un bambino orientale cresciuto al rispetto, al silenzio, al riserbo.

Statistiche e studi vari rilevano quali nazioni siano più predisposte all’estroversione, geneticamente o evolutivamente, e rivelano che la popolazione mondiale si divide, quasi equamente, in estroversi e introversi.

Tendenzialmente gli estroversi sono considerati forti, simpatici, socievoli, “solari” (cosa vorrà dire mai?), al contrario degli introversi etichettati fragili, strani, asociali, distaccati.

La convivenza tra questi due tipi di orientamento è sempre risultata non facile, complici i pregiudizi, le incomprensioni, i luoghi comuni.

Finché introversione è, nel collettivo sentire, un fattore di disagio psicologico, mentre estroversione è il compendio di sole virtù, questi due mondi espressivi difficilmente si armonizzeranno.

Ognuno dovrebbe, in teoria, essere libero di possedere e coltivare una propensione o inclinazione o indole meno invadente senza per questo subire un immotivato ostracismo sociale. Eppure genitori, insegnanti, datori di lavoro sembrano adorare i soggetti vivaci, socievoli, effervescenti e chi non lo è per natura deve sforzarsi per essere apprezzato.

Corsi, laboratori, percorsi, manuali fioccano dappertutto per far diventare il disadattato introspettivo un acclamato leader esaltato. Mostrarsi in pubblico, ostentare sicurezza, parlare ad alta voce, sfidare il prossimo, dimostrare di essere gagliardi, brillanti, superiori è cosa più importante della dimostrazione in sordina di reali capacità, serietà e competenza.

La riflessione, la gentilezza, la riservatezza, l’emotività sono diventati più che mai segni di debolezza.

Sebbene amare la solitudine non escluda il piacere di stare con gli altri, prediligere il pensiero non precluda all’azione, preferire di lavorare in autonomia non equivalga a disdegnare gli altri, essere introversi è una maledizione sociale da compatire, isolare e debellare.

All’introversione vengono associate erroneamente la timidezza, la paura, l’ansia.

L’equivoco nasce dal fatto che l’introverso non sente la necessità impellente di condividere con il prossimo le proprie riflessioni, di coltivare amicizie non feconde, di mettersi sotto i riflettori se non preparato. L’estroverso, al contrario, si mostra deciso anche quando non lo è, insegue il prestigio sociale anche quando non ne possiede le qualità, corre rischi anche inutili.

L’ideale dell’estroversione si è affermato nella società come i suoi principali attori: prepotentemente, eccessivamente, ingiustificatamente.

Questa falsata convinzione che “estroverso è meglio” fa in modo che dalla scuola al luogo di lavoro si viva in una costante relazione con gli altri, in eterna competizione, sopraffazione, dominanza. La forzata ricerca di coesione, che sia autentica o opportunistica, l’obbligata attività di gruppo, piacevole o noiosa, la continua esibizione di sé, l’eccessivo bisogno di accettazione, la voglia compulsiva di visibilità, di potere e successo, il desiderio di essere perennemente presenti, attivi, partecipi non produce automaticamente effetti positivi.

L’iperstimolazione, l’incitamento, l’ossessione della popolarità rende uomini e donne più nevrotici che carismatici, più eccitati che produttivi, più stancanti che trascinatori.

Un introverso ha modalità e tempi diversi di socializzazione da un estroverso, ma non per questo è meno coraggioso ed efficace nell’attuazione di idee, progetti, azioni.

Se si passano in rassegna quali personalità eccellenti in campo scientifico, medico, economico, letterario, artistico, storico, hanno cambiato il mondo, ci si stupirebbe scoprire che si tratta, per lo più, di introversi (Einstein, van Gogh, Chopin, Gandhi, Proust, Gates, Curie, Carroll, Orwell, Spielberg, Newton, per citarne solo alcuni).

Socializzare con i propri pensieri, trascorrere il tempo in compagnia di lettura e scrittura, condividere quanto di più interessante con altrettante persone serie, profonde, sensibili, produce, evidentemente, i suoi bei frutti.

In un'epoca cieca alla sostanza e ammaliata di sola apparenza, in aula, in palestra, in ufficio, tutto è volto all’interazione sociale. I banchi scolastici sono disposti in modo che tutti gli alunni si guardino in faccia per facilitare la comunicazione, in palestra quasi tutti gli sport sono di squadra per sviluppare il senso del cameratismo, in ufficio gli open space sono concepiti per favorire la socialità, le riunioni sono diventate dei brain storming per stimolare la circolazione delle idee.

Peccato che i risultati non siano quelli voluti.

In ambienti in cui ci sia una pressante partecipazione di persone e una sovrabbondanza di opinioni, il livello di conflitto, nervosismo e di stress aumenta, mentre la produttività e la concentrazione diminuiscono. Creatività, intuizione, fantasia mal si accordano con la fretta, l’agitazione, la sollecitazione.

È dimostrato che chi è estroverso è maggiormente portato a parlare alla folla anche senza avere nulla in mente, invece chi è introverso le buone idee non riesce a farle emergere nella confusione di massa. I tipici segni di introversione sono la mitezza, il garbo, la prudenza. Eppure molti degli introversi fingono estroversione per non venire criticati dall’irrequieto gruppo, per non venire denigrati dai superficiali colleghi, per non perdere le occasioni di una meritata carriera.

Quale disgrazia da rifuggire! L’introversione è da combattere, superare, vincere per dare sfoggio alla falsa sicurezza, al banale chiacchiericcio, alla facile presunzione, alla compiaciuta ipocrisia, allo sperpero di energie. “Fingere quello che non si è” per piacere, avanzare, sopravvivere è inglorioso, pericoloso, controproducente.

Estroversi e introversi sembrano messi volutamente in rivalità da una società che li vuole opposti in tutto. In verità, la distinzione tra gli uni e gli altri non è così netta, l’ambiversione (cioè un po’ dell’uno e dell’altro) appartiene alla maggioranza degli individui solo che, spesso, gli ambiversi recitano il ruolo dei più chiassosi per non finire emarginati dall’ambiente culturale filoestroverso.

Se solo gli espansivi imparassero a limitare la propria esuberanza, a controllare la propria euforia, a rispettare spazi e temperamenti altrui con la stessa umiltà, tranquillità e deferenza dei loro interlocutori più discreti, scoprirebbero piacevolmente la compagnia di quelli meno appariscenti ma ugualmente affascinanti, meno spavaldi ma più ricchi interiormente, meno chiacchieroni ma più interessanti, meno tumultuosi ma più pratici, meno audaci ma più sorprendentemente pratici e collaborativi.

Bisognerebbe imparare che ci si può divertire anche senza insolenza, stare in compagnia anche senza protagonismo, conversare anche senza parlare a vanvera, fare esperienze anche senza commettere marachelle, essere spassosi anche senza prevaricare, manifestare la propria gioia anche senza urlare, essere sé stessi anche senza dimostrarlo. Non è mai troppo tardi per essere dei sani “diversamente socievoli”.

Una società che mette sullo stesso piano caratteri estroversi e introspettivi, valorizzandoli entrambi e non contrapponendoli, preferendo gli uni agli altri in ogni circostanza, ha solo da guadagnarci.



RIFLESSIONE


La consapevolezza è prestare attenzione all’esperienza nella sua interezza del momento presente in maniera intenzionale, totale e non giudicante. Tutti possono rafforzare questa qualità innata un po’ indebolita dai troppi pensieri del passato e del futuro, grazie all’allenamento quotidiano fino a farla diventare una bella e sana abitudine mentale.

Quando la vita si complica è pratica assai generale pensare, quindi giustificarsi, di non avere mai tempo a sufficienza, spazio tra casa e lavoro, energia da dedicare a una attività da destinare al benessere mentale. Quale attività ritenete sia giusta per la vostra pace mentale?

La consapevolezza funziona meglio quando viene praticata con costanza e flessibilità. Quanto impegno ci mettete per arrivare alla vostra completa consapevolezza?



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