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Io parlo come mangio

Riflessi di Lydia

Mi stupisco sempre.
Ho assistito ieri sera ad un dialogo veloce tra due adolescenti italiane che si salutavano: “Ehi, sis (diminutivo di sister=sorella), stei okey?”
“Bueno, sto scialla (=tranquilla, rilassata), living to dream (forma non corretta in lingua inglese ma, in teoria, dovrebbe significare: vivo sognando o sto vivendo un sogno), ti lovvo sis =ti voglio bene, sorella), you are my G =sei la mia grande/migliore amica)”

 "La maggior parte della popolazione del mondo sa solo più la lingua delle scimmie oggi che è l’inglese non tanto perché le scimmie parlano l’inglese ma perché anche una scimmia impara l’inglese ma nessuno sa più il francese, il tedesco e lo spagnolo che sono le lingue della cultura." G. Sapelli

 

Io aggiungo anche l'italiano (quarta lingua più studiata al mondo).

 

"Parla come mangi" mi risuona nella testa ogniqualvolta mi reco all'estero ma mai quando rientro in Italia questa frase si riempie di enfasi.


L'italiano è il risultato di una trasformazione linguistica durata secoli ed evolve continuamente, come qualsiasi altra lingua che subisce l'influsso di altre varietà linguistiche prese a prestito.


Aprirsi alle influenze straniere deve, però, procedere con moderazione e cognizione di causa, altrimenti porta ad un impoverimento della propria lingua creando uno strappo con le proprie radici, storia, cultura e tradizioni, patrimonio irrinunciabile.


Ricorrere esageratamente e a sproposito alle terminologie straniere, per lo più inglesi, non fa altro che portare a travisare il senso della parola, a ignorare ciò che si dice, oltre a non saperla pronunciare.


In altre parole: correre insensatamente ed eccessivamente verso le terminologie straniere ci rende, noi italiani, fastidiosi, ignoranti e ridicoli.


Inoltre, tributa la parola adoperata in malo modo, incomprensibile a chi veramente conosce la parola e il suo significato.


Ma in Italia, si sa, l'intelligenza, il buon senso, il senso dell'opportunità e della misura, nel complesso, non si mettono quasi mai in pratica.

 

Non si pensa.

Non si spiegherebbe, sennò, perché a Milano (che si trova in Italia) non ci sia la Settimana della moda bensì la Fashion Week, alla Mostra del Cinema di Venezia e Roma (capitale d'Italia) si stenda il red carpet e non il tappeto rosso, così il coffee break, il pagamento cash sono più gettonati perché dire pausa caffè e contanti non è cool o amazing.

 

Non siamo più una famiglia ma una family, non sentiamo più le vibrazioni ma vibes, non mandiamo più un promemoria bensì un reminder, non facciamo più un riepilogo ma un recap. Alterniamo fasi di up and down e non di su e giù, il tutto esaurito è cosa retrograda, meglio sold out, così ready to live soppianta il classico chiavi in mano, la zona living non è altro che il soggiorno, cheap equivale ad economico, ecc.


Medesimo destino per i ruoli lavorativi, in cui abbondano le denominazioni inglesi: Salesforce Consultant (trad.: Consulente di forza-vendita), Machine Learning Specialist (trad.: Specialista in apprendimento automatico), Project Manager (trad.: Direttore/trice di progetto), SEO Specialist (trad.: Specialista in ottimizzazione per i motori di ricerca), Cyber Security Analyst (trad.: Analista della sicurezza informatica).

 

Perché utilizzare termini in inglese quando non è necessario?



Perché gli italiani sono provinciali, hanno il complesso di inferiorità e povertà (mi hanno confidato in molti).

 

I termini in francese, lingua che raccoglie un consenso unanime in tutto il mondo sulla sua bellezza, meglio non utilizzarli se non si sa come si pronunciano in modo tale da evitare pessime figure.

 

Ormai si tende a "inglesizzare" tutto anche il francese (non dimentichiamo che quasi il 30% del lessico inglese è francese), a partire dai nomi propri di persona.


Alcuni esempi: un Charles francese, dalla pronuncia corretta "Sciàrl" diventa improvvisamente inglese "Ciarls", così David (pr.: Davìd) diventa "Devid", Vincent (che si pronuncia "Vensòn") diventa "Vinsent", Anthony (pr.: Ontonì) si trasforma in "Entoni" e così via.

 

Inoltre, NON si può sentire "Steige" o "Steij".


La pronuncia corretta di Stage (se proprio non si vuole utilizzare l'italianissimo tirocinio) è quella francese [stàaˇ∫] pronunciata come tutte le altre parole che finiscono in -AGE:

gar-age, bricol-age, verniss-age, découp-age, mass-age, coll-age, mix-age, escamot-age, report-age, vint-age, mén-age, foli-age, ecc.

 

Dare forfait (si pronuncia forfè) non è "forfeit" o "forfit".

 

In molti, inoltre, dicono "plas" pensandolo come un termine inglese, ma, in realtà, la parola è latina, quindi la pronuncia originaria è plus (si legge come si scrive) che indica un di più, un valore aggiunto (plusvalore, infatti si pronuncia "plas"valore, allo stesso modo plusvalenza, surplus, ecc.)

 

L'elenco è infinito.

 

Conoscere e studiare una lingua straniera è una marcia in più, ma ciò non dovrebbe comportare la riduzione e la perdita della propria.


Non è raro che in molte località turistiche italiane le insegne, le indicazioni stradali, i biglietti dei mezzi di trasporto, i menu (termine francese che significa lista di cibi e bevande con o senza relativi prezzi), le locandine, ecc. riportino diciture esclusivamente in lingua inglese, escludendo l'italiano o la possibilità, almeno, delle due lingue (italiano e inglese).

 

Ultimi esempi di stupidità collettiva: mi sono iscritta ad un corso in Italia per e con italiani e come mi ha accolto il docente? Con un fragoroso "Uelcomm, uir so ecsait (Welcome, we're so excited =benvenuta, siamo così contenti) di averti qui".


Quando ho riferito ad alcune amiche italiane che uscivo a fare spese, mi hanno risposto che, invece, loro andavano a fare shopping (=spese in giro per i negozi).

 

La lingua inglese è la lingua del momento, è utile per comunicare all'estero o con chi italiano non è o non parla la lingua italiana, ma... perché tradurre o sostituire vocaboli che esistono già nel nostro ricchissimo vocabolario?


La lingua italiana è musicalità, dolcezza, amore, poesia, legata alla bellezza della nostra opera lirica, dell’arte, del paesaggio, della cucina, della moda, dell'eccellenza italiana.

Vogliamo davvero rinunciarvi?


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