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  • Riflessi di Una Mente

AI SPIC ITALIANO























Tutte le lingue si evolvono e subiscono continuamente delle contaminazioni ma mai come negli ultimi tempi, sempre più di frequente, il lessico del Belpaese è subissato di termini stranieri, soprattutto inglesi.

L’abuso della lingua inglese è dovuto, in parte, al triste fatto che sia la lingua grammaticalmente più banale in quanto a semplicità, più flessibile (una parola può avere molteplici significati), più sintetica, quindi, più comprensibile e funzionale.


Termini informatici, economici, affaristici accomunano molte persone di diversa nazionalità e sono, perciò, utili al fine della comunicazione a livello internazionale. Assai ridicole, invece, risultano le inserzioni di lavoro in Italia per la ricerca del personale di aziende italiane rivolte agli italiani e le conferenze a livello nazionale solo in inglese.


Per non parlare, poi, di certe categorie professionali che farebbero più bella figura a parlare un italiano scorrevole e grammaticalmente corretto piuttosto che sfoggiare i termini inglesi (pure sbagliandoli) solo per il gusto di darsi un tono, esibendo chissà quale competenza o superiorità. Non ha alcun senso, infatti, usare impropriamente parole straniere, a volte con connotazioni differenti da quelle originali, se poi non si conosce a fondo la propria lingua madre, si sbaglia la consecutio temporum e si trova difficoltà nel distinguere sceneggiatura da scenografia, potente da potenziale, venale da veniale, volubile da volitivo, …

Non si capisce perché nel linguaggio corrente e non solo in ambito lavorativo anziché pausa caffè si debba preferire coffee break, invece di contanti faccia più figo, anzi cool, adottare cash, spuntino snack, fine settimana weekend, affari business, pettegolezzo gossip, incontro meeting, passo step, biglietto ticket, eccetera.


Peggio ancora le parole “inglesitalizzate” quali: “faxare”, “scannerare”, “postare”, “logare”, “downloadare” e tante altre.


Anche molte delle professioni non sono state risparmiate da questo dilagante fenomeno. Un allora venditore, oggi è un sale manager pur restando sempre un venditore. Una guardia del corpo è un bodyguard, un uomo di spettacolo è uno showman e così per un chief engineer, un web manager, un advertising sales agent, un account manager distributor, un project manager, un managing director, un chief executive officer, tutte figure ricercate attualmente dai datori di lavoro italiani e poco importa se il worker, sempre italiano, sappia veramente se il profile si adatti perfettamente al suo.

Ma c’è davvero la reale necessità di sgrammaticare, storpiare, sostituire la più bella lingua del mondo? Più che un’indotta esigenza è una moda o si tratta di puro provincialismo?


Sembra che il popolo italiano così esterofilo soffra di un complesso di povertà e di inferiorità nei confronti, soprattutto, di americani e inglesi e che faccia, quindi, l’impossibile per cancellare le proprie radici e la propria cultura scimmiottando lessico e comportamenti presi a noleggio, con il rischio di diventare assai patetico.

I media non aiutano, l’informatica neppure. La lingua italiana è usata sempre meno correttamente specie tra i più giovani che con la scusa del short message via cellulare, chat, social network, ricorrono, spesso e volentieri, ad abbreviazioni, grafie improbabili, fusioni, invenzioni di nuove espressioni che, improvvisamente e inspiegabilmente, si diffondono e si ripetono ben oltre il web. Per non parlare della pronuncia e incorretta dizione di parole di fatto non inglesi ma di appropriazione indebita quali: stage, vintage, tutte le parole che terminano in "-age" (che erroneamente vengono pronunciate “steige”, “vinteige”, “eige”).

Si potrebbe fare a meno di molti termini inglesi valorizzando quelli italiani molto più evocativi.

Si potrebbe prendere esempio, almeno per cambiare, dai francesi che a difesa della loro altrettanto bella lingua si sono autoimposti di tradurre tutti i termini d’Oltre Manica e Oceano.

Che sia utile o no, almeno ci hanno provato.


Come per tutte le cose vige il senso dell’opportunità e della misura.

Qualunque sia la lingua globale del momento, oggi l’inglese, domani, forse, il mandarino, non deve essere lo strumento indiscriminato e indisciplinato per soppiantare l’identità e il senso di appartenenza di una nazione poiché è la diversità che fa ricco un popolo e l’effetto della globalizzazione dovrebbe renderlo partecipe mai suddito.


RIFLESSIONI


La diversità e la complessità di ogni cultura che ciascuno porta dentro e con sé è più di una stravaganza o particolarità, è il modo di porsi, di manifestarsi, di esprimere la sua originalità e specificità. La consapevolezza parte anche dalla conoscenza, dal rispetto e dalla considerazione della propria lingua madre.


👉 A questo proposito, leggi la pagina del Diario di una vita consapevole "Io parlo come mangio"


👉 Se hai tempo, voglia e piacere non perderti "Ma quanto sono fastidiosi gli inglesismi?"


🎬 Puoi anche guardare il videocorto "Io parlo come mangio"



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