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  • Riflessi di Una Mente

FIGLI? NO, GRAZIE!



Si vive in una strana società fatta di contraddizioni e paradossi.


Le donne si sono emancipate. Hanno conquistato duramente il diritto di voto, di studio, di lavoro, di convolare o meno a giuste nozze ma non ancora il diritto di decidere di non procreare.


Una volta l’avere dei figli, per una donna, era considerato l’apice della realizzazione personale, della gratificazione, della soddisfazione. Madre Natura faceva il suo corso ed erano tutti felici e contenti. La nascita del pargoletto era vissuta come evento naturale con grande attesa e gioia di parenti e amici che organizzavano una grande festa con tanto di corredino e tutto il resto. Sul figlio i genitori proiettavano sogni, desideri, aspettative. Con la nascita del rampollo, orgoglio materno e paterno, si assicurava la progenìa, la continuazione del ramo familiare. Le madri accudivano a casa la propria prole, spesso in collaborazione con nonne, zie, suocere, cugine le quali impartivano insegnamenti e trasmettevano i valori che avrebbero forgiato gli adulti di domani. Una certa severità e disciplina erano d’obbligo per placare gli animi un po’ ribelli dei piccoli disobbedienti ma il tempo e l’amore non mancavano mai. Ogni figlio rispettava a suo modo i genitori, trovando nel padre una figura autoritaria e nella figura materna sempre un porto sicuro.


Oggigiorno la faccenda si è complicata. Dalla relegazione quasi forzata delle donne a casa con il ruolo esclusivo di moglie e di madre si è passati alla donna in carriera. Quanta carriera faccia realmente non si sa ma il vincolo del lavoro fuori da casa è diventato tassativo.


Le figlie delle sessantottine devono ottemperare a tutte le battaglie di liberazione ed emancipazione femminile delle loro madri mantenendo con onore e fino in fondo il loro ruolo di donne autonome e indipendenti a costo di grandi sofferenze, rinunce e sacrifici.


Una ragazza ventenne, generalmente, pensa allo studio, una trentenne al lavoro, una quarantenne alla propria realizzazione professionale con conseguente primo bilancio della propria esistenza.


Appurato che l’istinto materno non esiste e che avere un figlio non è affatto obbligatorio, c’è da chiedersi quale ruolo abbia al giorno d’oggi la maternità.


Depressione post partum, difficoltà nel conciliare vita privata, casalinga, sociale e lavorativa, penalità per eventuali avanzamenti di carriera, pressioni esterne, conflitti interiori, mancanza di tempo per sé, solitudine nelle scelte importanti, incomprensioni da parte del marito, non promettono molto bene.


Alcune donne vogliono essere madri biologiche a tutti i costi e ricorrono a qualsiasi mezzo per soddisfare questo loro ossessivo ed egoistico desiderio con il rischio di mettere in pericolo la loro salute.


Altre non sentirebbero l’impellenza di figliare ma, per accontentare i futuri nonni ed esibire il piccolo trofeo alle amiche, si autoinfliggono questa pena.


Non mancano quelle che avrebbero piacere di avere un assordante piagnucolone ma non vogliono rinunciare alle proprie abitudini, alle conquiste faticosamente ottenute, al proprio stile e tenore di vita.


Tra chi rimpiange di non avere avuto dei figli per varie ragioni e chi ne ha e se ne rammarica, c’è una ristretta nicchia di coloro che, con grande responsabilità, enormi sforzi, volontà di ferro e spirito intrepido, portano avanti ogni giorno la propria crociata in nome della bellezza della genitorialità biologica e/o alternativa come l’adozione, l’affidamento, il prestare servizio presso i bambini nelle scuole, negli istituti, nei centri, nelle parrocchie, perfino il prendersi cura dei piccoli e grandi animali domestici, come compensazione, perché si può essere una figura materna in variegati modi.


Complici i ritmi esagerati di vita, rimbalzati dalla bambinaia ai nonni, che oramai non hanno più la forza morale, fisica e i riflessi pronti per tenere l’agognato nipotino, dai febbrili asili nido ai surrogati telematici, i bambini crescono senza la presenza costante dei genitori diventati stanchi, nervosi, affrettati e troppo impegnati a sbarcare il lunario. Il denaro, infatti, è un fattore determinante per far pendere il piatto della bilancia a favore del possibile e unico nascituro perché, occorre ribadirlo, i bebè costano e anche parecchio. Pannolini, pappine, vestitini, culle, lettini, fasciatoi, passeggini, accessori vari e giocattoli sono un salasso per i sempre più precari e non più giovani genitori. Lo Stato italiano non vede e non provvede, incentivi non ce ne sono, agevolazioni neppure. Le donne italiane si trovano a dover fare i salti mortali per soddisfare il desiderio più naturale del mondo in netto contrasto con le regole societarie che, di fatto, lo ostacolano.


Viziato, arrogante, bullo, solitario, questo esercito di sempre più figli unici vive in un ambito familiare e sociale che lo ostenta, lo osanna, lo sponsorizza ma non lo educa.


Le madri mettono al mondo il loro neonato in condizioni difficili, contrastanti e contraddittorie. Hanno, da un lato la coscienza a posto per avere dato alla luce un erede, dall’altro la preoccupazione di un futuro che si prospetta peggiore del loro.


Mancanza di lavoro, crisi finanziarie, instabilità economica, guerre alle porte, minano la fiducia di un domani migliore.


Alla luce di questi scoraggianti fatti e accanto alla sconcertante idea di maternità che si manifesta puntualmente in tempi di crisi, si rafforza una fetta di società al femminile che cosciente, decisa, convinta, ammette apertamente di non voler più procreare.


Sarebbe un dato allarmante se si vivesse in un contesto mondiale opulento, equo, democratico, solidale, ma in un paese anche come l’Italia decidere di non avere figli si rivela una salvezza per l’Umanità.


Le risorse planetarie non bastano a sfamare, dissetare, istruire, curare miliardi di persone. Si spera sempre nella giustizia, nella bontà, nella misericordia ma la realtà è fatta di guerre tribali, epidemie, carestie, calamità che disumanamente e indiscriminatamente sterminano popolazioni intere o, nel migliore dei casi, le condannano a emigrare verso chissà quali lidi più favorevoli. In questo scenario di incremento demografico nei paesi sottosviluppati o in via di sviluppo e di denatalità nei paesi, invece, industrializzati, quale previsione di una vita dignitosa per tutti?


Molte di queste donne non vogliono contribuire alla sovrappopolazione, al degrado, alla distruzione. Ci sono talmente tanti figli di nessuno a questo mondo, orfani, maltrattati, seviziati, moribondi, abbandonati, sfruttati che si manifesta l’urgente necessità di aiutare loro prima di farne irresponsabilmente nascere degli altri.


Trattasi di selezione naturale e d’istinto di sopravvivenza. È una forma di adattamento alla realtà odierna in cui la qualità della vita di ogni singolo individuo dovrebbe valere più dell’effimero senso della famiglia basato sul numero dei figli e di qualsiasi altra falsa retorica. È finita l’era dell’“Andate e popolate il mondo”, proclama di molte religioni, poiché la prolificazione incontrollata ha portato maggiore miseria materiale e spirituale, portando la Terra al collasso.


Con questa risoluta presa di posizione, stufe di doversi giustificare e quasi scusare per la mancanza dei figli biologici e incuranti dello sguardo, a seconda compassionevole o di condanna, di chi tenta di giudicarle malevolmente, le coraggiose donne “Figli, no grazie”, sostenute dal globale decadimento della condizione umana, continuano a fare proseliti senza rimorsi, sensi di colpa né di vergogna.


Un uomo non fa scandalo se afferma di non sentire la paternità, al contrario di una donna che si dà per scontato che abbia il senso della maternità.


Il problema vero è che esistono ancora persone che pensano che per essere una vera donna occorra diventare per forza madre, che maternità faccia rima necessariamente con felicità, che una donna senza figli sia incompleta e insoddisfatta.


Le suore non procreano eppure sono donne votate ad altro.


La donna non è ancora libera di affermare il proprio NON bisogno di procreare, di sentirsi appagata nel suo ruolo di NON madre, di essere bella, affascinante e gratificata dalla NON presenza di un qualche piantagrane dal naso colante e bocca bavosa.


Una donna deve poter avere la facoltà di scegliere quale sia la sua direzione, vocazione, aspirazione, solo così potrà diventare, se lo vorrà, un giorno, una brava e consapevole genitrice di uno o più figli oppure seguire un’altra strada a lei più consona.

Diventare madre, infatti, è un’eventualità non una costrizione, è un’esperienza non una tappa obbligatoria.

Ogni donna dovrebbe avere questo potere decisionale senza giudizi né pregiudizi di sentirsi o di non sentirsi in grado di generare. Ne gioverebbe l’intero pianeta.


RIFLESSIONI

Diventare madre è una condizione non un obbligo.

L’istinto materno non esiste.

Essere donna non è essere madre.

Non volere dei figli non è egoismo.

La felicità della donna non deve dipendere dalla procreazione.

La vocazione materna non è di tutte le donne.

La realizzazione della donna è a prescindere dal diventare madre.

Le coppie senza figli sono più longeve e felici.


Tu chi scegli di essere e diventare? Sei felice di avere o non avere figli? Com’è la tua vita dopo questa scelta consapevole?


👉 A questo proposito, leggi la pagina del Diario di una vita consapevole "La libertà di non volere figli"



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