NON GIUDICARE IL PROSSIMO TUO
- Riflessi di Una Mente
- 23 giu 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 12 mar

«Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6,37)
«Chi sei tu che ti fai giudice del tuo prossimo?» (Giacomo 4,12)
«Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo?» (Romani 14,4)
«Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo?» (Luca 6,41)
«Non vogliate giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore» (1 Corinzi 4,5)
«Ciascuno di noi renderà conto di sé stesso a Dio. Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi piuttosto a non porre inciampo sulla via del fratello, né a essere per lui un'occasione di caduta» (Romani 14:12,13)
«Il servo del Signore non deve litigare, ma deve essere mite con tutti, capace di insegnare, paziente. Deve istruire con mansuetudine gli oppositori nella speranza che Dio conceda loro di ravvedersi per riconoscere la verità, in modo che, rientrati in sé stessi, escano dal laccio del diavolo, che li aveva presi prigionieri perché facessero la sua volontà» (2 Timoteo 2:24)
«Sbarazzandovi di ogni cattiveria, di ogni frode, dell'ipocrisia, delle invidie e di ogni maldicenza, come bambini appena nati, desiderate il puro latte spirituale, perché con esso cresciate per la salvezza, se davvero avete gustato che il Signore è buono. Accostandovi a Lui, pietra vivente, rifiutata dagli uomini, ma davanti a Dio scelta e preziosa, anche voi, come pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pietro 2:1-5)
«Uno soltanto è il legislatore e il giudice, Colui che può salvare e perdere; ma tu chi sei, che giudichi il tuo prossimo?» (Giacomo 4:12)
«Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio» (Rom.14:10)
«Ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina» (2 Timoteo 4,2)
«Non parlate gli uni contro gli altri, fratelli. Chi parla contro un fratello, o giudica il suo fratello, parla contro la legge e giudica la legge» (Giacomo 4:11)
«Correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti» (1 Tessalonicesi 5,14)
Alzi la mano chi non ha mai giudicato una persona, un fatto, una scelta, una situazione.
Emettere un giudizio positivo o spiacevole che sia, in buona o cattiva fede, è la pratica quotidiana più frequente. Senza rendersene conto, un’opinione personale è quasi sempre espressa a critica, a consiglio, a disappunto, a lamentela, a danno, a offesa, a scherno, a ingiustizia di una o più persone. Pensare male e augurare il peggio, essere cinici, pettegoli, arrabbiati, risentiti, amareggiati, è consuetudine di società malate.
Il giudicare volto a sentenziare, condannare, additare, inveire, apostrofare, insultare è ben diverso dal giudicare, inoffensivo e utile, per esaminare, calcolare, discernere, ragionare, pesare, confrontare.
Ma chi riesce ad essere così bravo e giusto da proferire un qualsiasi parere saggio, intelligente, sensato senza sconfinare nel peccaminoso giudizio presuntuoso?
Molti individui, per volontà propria, scelgono di non emettere giudizi per non ferire il prossimo con il rischio, però, di sembrare senza idee personali, senza spina dorsale, indifferenti e apatici. Altri sono, al contrario, molto attivi verbalmente e fisicamente al solo fine di soddisfare il proprio ego pronto, in ogni occasione, a denigrare il prossimo, specie nei social network. Una buona dose di cattiveria, maleducazione, ignoranza e frustrazione fa il resto.
Chi, con falsa umiltà, riesce a giudicare solo benevolmente esaltando qualità e meriti, degni di ammirazione ed elogi, può incappare in gelosia, invidia, competizione, rivalità. Il “vivere e lasciare vivere” può essere, ancora, una forma sottile del giudicare mentre, all’opposto, il giudizio, a torto o a ragione, attraverso sentenze di atti impropri o di individui che hanno commesso dei crimini viene richiesto esplicitamente dalla comunità per la sua stessa salvaguardia.
La moderazione è sempre la scelta migliore, poiché è anche la più complessa e impegnativa, riservata a poche menti brillanti e a temperamenti equilibrati e saggi. Ogni essere umano commette errori regolarmente. È comune condannare gli innocenti, assolvere i colpevoli, giustificare azioni viziate o convenienti e giudicare in base alle apparenze. Ognuno rientra in una categoria generale, tralasciando le espressioni e le manifestazioni di identità individuale e di diversità. Nessuno può sfuggire ai giudizi che lo etichettano, anche senza volerlo, e così ognuno si sente spinto a escludere, accettare, evitare, assecondare, liquidare ignorare o invitare chi gli è gradito o meno.
Anche coloro che non desiderano giudicare finiscono con il condannare di chi li giudica, selezionando attentamente le persone da frequentare, a chi volere bene, con chi associarsi, a chi rivolgere la parola, a chi offrire aiuto e a chi negare un saluto, e così via. Giudicare, quindi, come metro di misura e di selezione naturale.
Anche coloro che, in buona fede e con un ruolo di guida spirituale, dovrebbero essere teoricamente liberi da pregiudizi, si sentono spesso obbligati a escludere dalla comunione i divorziati, criticare chi non partecipa alla Messa domenicale e a disapprovare pubblicamente stili di vita che non condividono. I mille errori e difetti che un qualsiasi “giudice terrestre” può riscontrare in un ipotetico “indegno” non dimostrano necessariamente che abbia ragione, ma solo che si sente, per qualche motivo, autorizzato a farlo. I credenti e coloro che professano di essere praticanti di qualsiasi religione possono cadere in giudizi affrettati, condizionati e fuorvianti, quanto i laici, gli atei e gli agnostici.
Attaccare e umiliare chi è diverso nelle idee e scelte è facile. La diversità, non solo culturale o religiosa, è vista come una minaccia e un fastidio collettivo. D’altra parte, il singolo “diverso”, concepito, il più delle volte, come “avversario” perché non omologato alla massa, può peccare di presunzione, poiché portato a disdegnare chi non ritiene alla sua altezza.
L'essere umano è naturalmente imperfetto e, nonostante regole, insegnamenti, conoscenze ed esperienze, spesso cade nella trappola del suo inappellabile giudizio verso qualcuno o qualcosa che continuamente invade la sua mente, riempie il suo discorso, occupa le pagine dei giornali, si diffonde online e affolla le aule dei tribunali.
«Errare è umano, perdonare è divino», dunque avere la consapevolezza di non essere né peggiori né migliori del proprio prossimo aiuterebbe a ritrovare quella serena compostezza nelle relazioni famigliari, sociali, professionali, virtuali.
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