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  • Riflessi di Una Mente

NON GIUDICARE IL PROSSIMO TUO



«Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Luca 6,37)


«Chi sei tu che ti fai giudice del tuo prossimo?» (Giacomo 4,12)


«Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo?» (Romani 14,4)


«Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo?» (Luca 6,41)


«Non vogliate giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore» (1 Corinzi 4,5)


«Ciascuno di noi renderà conto di sé stesso a Dio. Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; decidetevi piuttosto a non porre inciampo sulla via del fratello, né a essere per lui un'occasione di caduta» (Romani 14:12,13)


«Il servo del Signore non deve litigare, ma deve essere mite con tutti, capace di insegnare, paziente. Deve istruire con mansuetudine gli oppositori nella speranza che Dio conceda loro di ravvedersi per riconoscere la verità, in modo che, rientrati in sé stessi, escano dal laccio del diavolo, che li aveva presi prigionieri perché facessero la sua volontà» (2 Timoteo 2:24)


«Sbarazzandovi di ogni cattiveria, di ogni frode, dell'ipocrisia, delle invidie e di ogni maldicenza, come bambini appena nati, desiderate il puro latte spirituale, perché con esso cresciate per la salvezza, se davvero avete gustato che il Signore è buono. Accostandovi a Lui, pietra vivente, rifiutata dagli uomini, ma davanti a Dio scelta e preziosa, anche voi, come pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pietro 2:1-5)


«Uno soltanto è il legislatore e il giudice, Colui che può salvare e perdere; ma tu chi sei, che giudichi il tuo prossimo?» (Giacomo 4:12)


«Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio» (Rom.14:10)


«Ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina» (2 Timoteo 4,2)


«Non parlate gli uni contro gli altri, fratelli. Chi parla contro un fratello, o giudica il suo fratello, parla contro la legge e giudica la legge» (Giacomo 4:11)


«Correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti» (1 Tessalonicesi 5,14)

Alzi la mano chi non ha mai giudicato una persona, un fatto, una scelta, una situazione.

Emettere un giudizio positivo o spiacevole che sia, in buona o cattiva fede, è la pratica quotidiana più frequente. Senza rendersene conto, un’opinione personale è quasi sempre espressa a critica, a consiglio, a disappunto, a lamentela, a danno, a offesa, a scherno, a ingiustizia di una o più persone. Pensare male e augurare il peggio, essere cinici, pettegoli, arrabbiati, risentiti, amareggiati, è consuetudine di società malate.

Il giudicare volto a sentenziare, condannare, additare, inveire, apostrofare, insultare è ben diverso dal giudicare, inoffensivo e utile, per esaminare, calcolare, discernere, ragionare, pesare, confrontare.

Ma chi riesce ad essere così bravo e giusto da proferire un qualsiasi parere saggio, intelligente, sensato senza sconfinare nel peccaminoso giudizio presuntuoso?


Molti individui, per volontà propria, scelgono di non emettere giudizi per non ferire il prossimo con il rischio, però, di sembrare senza idee personali, senza spina dorsale, indifferenti e apatici. Altri sono, al contrario, molto attivi verbalmente e fisicamente al solo fine di soddisfare il proprio ego pronto, in ogni occasione, a denigrare il prossimo, specie nei social network. Una buona dose di cattiveria, maleducazione, ignoranza e frustrazione fa il resto.


Chi, con falsa umiltà, riesce a giudicare solo benevolmente esaltando qualità e meriti, degni di ammirazione ed elogi, può incappare in gelosia, invidia, competizione, rivalità. Il “vivere e lasciare vivere” può essere, ancora, una forma sottile del giudicare mentre, all’opposto, il giudizio, a torto o a ragione, attraverso sentenze di atti impropri o di individui che hanno commesso dei crimini viene richiesto esplicitamente dalla comunità per la sua stessa salvaguardia.

Come per tutte le cose, la via di mezzo è la preferibile, poiché essa è anche la più difficile e troppo impegnativa, adatta a poche menti intelligenti e a temperamenti equilibrati e sapienti. Sbagliare è all’ordine del giorno per ogni Essere umano. Condannare gli innocenti, assolvere i colpevoli, giustificare le azioni viziate, convenienti, furbe, etichettare in base all’apparenza sono errori comuni. Ognuno rientra in una categoria generale tralasciando le espressioni e le manifestazioni di identità individuale e di diversità. Nessuno è immune dai giudizi che lo classificano, anche involontariamente, e, perciò, chiunque si sente chiamato ad escludere, accettare, evitare, assecondare, liquidare, ignorare, invitare chi è gradito o sgradito.


Persino chi non vuole giudicare condanna chi lo giudica e sceglie, in base ad un accurato giudizio, chi frequentare, a chi volere bene, a chi accompagnarsi, a chi rivolgere la parola, a chi dare una mano, a chi negare il saluto, ecc. Giudicare, quindi, come metro di misura e di selezione naturale.


Anche chi in buona fede, più di altri, si erge a guida spirituale, perciò teoricamente esente da ogni (pre)giudizio, si sente in dovere di escludere dalla comunione, ad esempio, i divorziati, di biasimare chi non frequenta la Messa domenicale, di disapprovare pubblicamente stili di vita che non siano di proprio gusto. I mille errori e difetti che un qualsiasi “giudice terrestre” trova in ogni ipotetico “indegno” non provano che abbia per forza ragione ma solo che si senta, per qualche motivo, legittimato a farlo. I credenti e chi si professa praticante di una qualsiasi religione peccano di giudizi frettolosi, condizionati, traviati non meno di laici, atei, agnostici.

Emarginare, umiliare, aggredire, attaccare una persona diversa per idee, opinioni, comportamenti, scelte è alla portata di tutti. La varietà, e non solo ed esclusivamente di popoli di culture e religioni diverse, è vissuta come una minaccia, un corpo estraneo, un fastidio collettivo. D’altra parte, il singolo “diverso”, concepito, il più delle volte, come “avversario” perché non omologato alla massa, può peccare di presunzione poiché portato a disdegnare chi non ritiene alla sua altezza.

L’Essere umano è imperfetto per natura e, nonostante norme, prediche, conoscenza, esperienza cade, spesso e volentieri, nell’insindacabile suo giudizio verso/contro qualcuno o qualcosa che insaziabilmente invasa la sua mente, riempie la sua bocca, occupa le pagine dei giornali, trasmette via web, intasa le aule dei tribunali.

“Errare è umano, perdonare è divino”, dunque avere la consapevolezza di non essere né peggiori né migliori del proprio prossimo aiuterebbe a ritrovare quella serena compostezza nelle relazioni famigliari, sociali, professionali, virtuali.


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