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  • Riflessi di Una Mente

QUOTE ROSA



La discriminazione delle donne riguardo all’educazione, allo studio, alla differenza di retribuzione nel lavoro, alla relegazione nel ruolo di eterna seduttrice, al diritto di voto, alle mutilazioni genitali, alla compravendita del corpo quale oggetto sessuale, alla presunta inferiorità o minor valore rispetto all’uomo, è considerata sessismo.

L’odio degli uomini per le donne, gli stereotipi e i pregiudizi minano l’esistenza del genere femminile in ogni angolo del pianeta.

Sebbene in molte culture la donna sia elogiata nel suo ruolo di moglie, madre e angelo del focolare, spesso si cela una segregazione forzata, una forma di controllo maschile per affermare il predominio.

Erroneamente si pensa che l’atteggiamento sessista sia insito nelle popolazioni dei paesi poco sviluppati industrialmente, finanziariamente, politicamente, in realtà, molto dipende dal livello qualitativo della reale democrazia del paese nella vita di tutti i giorni. Il progresso, la tecnologia, la scienza, il benessere economico, hanno portato, sicuramente, emancipazione, alfabetizzazione, maggiori opportunità professionali alle donne ma minore rispetto e considerazione. Di pari passo, alla capillare scolarizzazione femminile si è avuta una massiccia richiesta partecipativa, collaborativa, direttiva.

I gradi più alti di carriera sono comunemente occupati da uomini per un fattore principalmente psicologico-educativo. La donna indipendente economicamente spaventa e disturba il maschio dominante che ha, da sempre, come scopi della vita il prestigio personale e il mantenimento della famiglia. A scegliere di occuparsi esclusivamente della casa, del marito, eventualmente dei figli e degli animali domestici non c’è nulla di sconveniente, anzi, ma per colei che desidera realizzarsi anche all’esterno delle mura domestiche, specie se con mansioni di rilievo, la situazione si complica.

Per aumentare la presenza femminile all’interno degli organi istituzionali si è, perciò, dovuto ricorrere agli strumenti legislativi con le cosiddette “quote rosa”, ovvero fissare una percentuale minima di donne presenti nel mondo della politica, delle amministrazioni e delle società pubbliche.

A questa iniziativa plaudono sindacati e politici, concordi nel definirla un primo passo importante per il traguardo paritario tra i sessi ma molti si chiedono se sia davvero una scelta opportuna, appropriata, efficace.

In primo luogo, solo per il fatto di attribuirle sin dalla nascita il colore “rosa” (colore, peraltro, di elaborazione del cervello) si è già di fronte ad una forma discriminatoria.

Simbolo della capacità di dare e ricevere amore, di perdonare, di donarsi e di capire fino ad annullarsi, il colore rosa rappresenta tutto ciò che la legge si propone di eliminare.

La donna ha già di suo la giusta ponderazione, vitalità, forza, unite a intuito, prudenza, coraggio in famiglia e in casa, che la portano, spesso e volentieri, a “sacrificarsi” per il bene del marito e dei figli, tanto da non avere ulteriore bisogno di incentivi di abnegazione anche fuori casa.

In secondo luogo, garantire l’equilibrio tra i generi sessuali non è favorire, aiutare, proteggere l’uno a scapito dell’altro.

Infine, alcune donne sono offese e indignate perché vogliono essere premiate, elette, scelte per i meriti, per le capacità, per l’esperienza e non per l’appartenenza ad un determinato sesso. D’altro canto gli uomini si sentono, a loro volta, discriminati per la preferenza, l’aiuto, l’agevolazione riservati alle donne.

I favorevoli alle quote sostengono che possono essere un importante stimolo alla partecipazione femminile alla vita pubblica, nei consigli di amministrazione e di controllo delle società controllate dallo Stato, sia quotate che non.

C’è da sottolineare, però, che, generalmente, le donne faticano molto ad affermarsi nel mondo del lavoro per la sola bravura e quelle che, in qualche modo, ce la fanno non apportano esattamente il “tocco femminile”.

Per non venire considerate “deboli”, spesso, si “mascolinizzano” nel linguaggio, nel comportamento, nell’abbigliamento diventando brutte copie dell’uomo. Ottenere e difendere cariche direttive, decisionali, di controllo equivale per loro diventare necessariamente aggressive e prepotenti, snaturare le doti spiccatamente femminili quali la sensibilità, la dolcezza, la comprensione.

Si sa, la società è fondata dal e per il maschio in cui la donna cerca di convivere, di arrangiarsi, di conformarsi come può. Certo è che se si è reso necessario mettere per iscritto l’obbligatorietà della sua presenza ai vertici non è un buon segno. Da un lato significa che si vive in un paese non democratico, dall’altro che una certa mentalità è ancora molto radicata. Ma non si tratta del solo maschilismo ad ostacolare il cammino in salita della donna, è anche, e soprattutto, il femminismo. La parità dei diritti non significa la parità dei ruoli. Maschi e femmine sono diversi per natura, indole, conformazione. Finché non sono accettate le distinzioni caratteristiche nei due sessi questa assurda battaglia non potrà mai avere fine. Ognuno deve poter fare quello che sa fare meglio a prescindere dall’appartenenza di uno o dell’altro sesso. La prevaricazione, la presunzione, la rivendicazione non sono gli strumenti giusti per affermare un principio egualitario, prima di tutto, tra persone, tanto è vero che nel mercato del lavoro sia uomini che donne sono alla stessa stregua unità produttive utili, non indispensabili e facilmente sostituibili.

Essere donna è sempre difficile poiché è esigente con sé stessa e non si perdona niente, non si considera adeguatamente come persona e non si rispetta pienamente in quanto generatrice di vita. Si è creata, in questo modo, una situazione di comodo per l’uomo e di adattamento per lei.

Se prima delle “quote rosa” la donna era discriminata più o meno dichiaratamente nel luogo di lavoro per mansioni e retribuzione, ora si ritrova a gareggiare non solo con uomini più determinati ma con le donne agguerrite di rivalsa. Rivalità, competizione, invidia. Gioverà veramente alla donna tutto questo?

Mendicare qualche quota, usare subdoli sotterfugi, rincorrere l’esempio maschile, oltre che umiliante, non è la via più giusta per un onesto riconoscimento. Una posizione lavorativa, un traguardo raggiunto, una conquista individuale può rivelarsi una sconfitta per tutto il genere femminile se non s’impartisce un’educazione diversa ai figli maschi, insegnando loro, sin da piccoli, a trattare la donna con il dovuto rispetto, a cominciare dalla propria madre, e assecondando le figlie nelle vocazioni, nelle aspirazioni.

Solo quando avrà più stima di sé, la donna si sentirà più forte del suo valore, dei suoi titoli, della sua professionalità, delle sue competenze e sarà finalmente valutata da un uomo privo di preconcetti e, magari, da un’altra donna libera dai sentimenti di insensata minaccia, di sleale sfida e di ridicolo antagonismo.

RIFLESSIONI

Non tutti possono permettersi di scegliere se lavorare da casa oppure in presenza e non tutti i ruoli ricoperti lo consentono. Ciò che si può scegliere è, invece, lavorare al meglio adottando abitudini comportamentali che non ledono il proprio lavoro e quello altrui.

Quale cattiva abitudine hai riscontrato più frequentemente sul tuo luogo di lavoro?


🎬 Guarda il video "Come lavorare felicemente" poiché solo svolgendo il proprio lavoro con la massima concentrazione si può essere soddisfatti del proprio operato e di sentire meritato lo stipendio.


Si ritiene che la donna sia molto più "portata" rispetto all'uomo ad eseguire più compiti contemporaneamente, considerando il multitasking come un valore sul piano personale e professionale.


🎬 Guarda il video "Essere multitasking" per scoprire quanto, in realtà, sia dannoso per la salute di ogni Essere umano (donna inclusa:-)


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