
Riflessi di Lydia
Ha ancora senso, oggi, definire chi è o chi non è una "brava ragazza"? Si tratta di uno stereotipo in netto contrasto con l'essere o sentirsi una ragazza/donna in una società 4.0?
Vengo subissata di newsletters (in italiano "notizie inviate a un ristretto gruppo di persone") camuffate da vere e proprie promozioni di lanci, offerte, sconti, premi, appuntamenti imperdibili, eventi, ecc. Ma una, tra queste, mi ha fatto riflettere più di altre, da qui questa pagina del “Diario di una vita consapevole” per condividere il mio pensiero “riflesso”.
In sintesi: in questa newsletter l’autrice poneva in contrasto l’essere delle brave ragazze con l’essere sé stesse, come se esistesse davvero una contrapposizione tra questi due modi di essere. Premetto che ho capito benissimo che è stata confezionata ad hoc (in italiano "a questo scopo") per lanciare il proprio prodotto commerciale.
«Quale sarebbe, quindi, questo contrasto (se esiste una contrapposizione)?», mi sono chiesta.
Tutto nasce dalla convinzione diffusa che la “brava ragazza” sia colei che si accomoda, che evita ogni tipo di conflitto, che è servizievole, che si sacrifica per il prossimo a scapito dei propri bisogni, che si comporta nel modo che ci si aspetta per compiacere gli altri, colei che ha una bassa autostima, di conseguenza ricerca attenzione e apprezzamento in ciò che fa solo per apparire ineccepibile agli occhi altrui. Si tratta della “Sindrome della brava ragazza”, il che non è ciò che definisce davvero una ragazza brava.
In parte, l'ideazione e/o l'idealizzazione di questa figura di comodo è dovuta a un retaggio di una mentalità ancorata al passato, in cui una ragazza era considerata "brava" solo se ubbidiente, illibata, tutta “famiglia, casa e chiesa” per intenderci. Non che ci fosse nulla di male per quelle donne che si sentivano realizzate in tale contesto, ma ora, nel nuovo secolo, nel nuovo millennio, cosa vuol dire essere o voler diventare una “brava ragazza”?

Innanzitutto, non necessariamente significa vivere in contrasto tra una mentalità tradizionale e l’essere quello che si vuole, almeno per me non è così.
Sin da bambina mia madre, prima di uscire da casa, mi raccomandava (con la famosa frase: «Fai la brava») di mantenere un certo contegno a scuola, a casa dei miei compagni di classe, dai nonni, in vacanza, in qualsiasi luogo e con qualsiasi persona io mi trovassi perché lei ci teneva a crescere una figlia educata bene, sempre con rispetto e gentilezza in qualsiasi ambiente e con chiunque avessi di fronte.
Fino agli anni universitari il pregiudizio dell'essere una “brava ragazza” poteva anche risultare malvisto in certe situazioni estreme in cui, per esempio, il divertimento equivaleva a vandalizzare, bullizzare, imprecare, fare le ore piccole, marinare le lezioni, ubriacarsi, sballarsi, ecc. Nella stessa maniera, spesso, la mia assertività e piccole "ribellioni" spiazzavano chi si aspettava dalla classica e canonica immagine di "brava ragazza" un atteggiamento più "sottomesso".
Il mio modo di essere non è mai stato un problema per me (forse, per gli altri), sebbene mi avesse preclusa alla "socialità di massa" per la quale avrei dovuto, per forza, identificarmi e schierarmi con un gruppo di amici piuttosto che un altro. Al contrario, non ho mai giudicato e non giudico tuttora le mie amiche come cattive o brave ragazze se non la pensano come me, se vivono esperienze diverse dalle mie, se non condividono i miei stessi valori, se conducono uno stile e una filosofia di vita opposti al mio.
Ho sempre optato per l’eterogeneità e il libero arbitrio, non accettando imposizioni, pressioni e condizionamenti.
Non è un caso che mi orientassi in un percorso di formazione con competenze relazionali e manageriali in ambito diplomatico. Questo era il contesto per eccellenza per testare il mio naturale aplomb (in italiano "disinvoltura e sicurezza"), l’autocontrollo, il rigore e l’autodisciplina senza, per questo, annientare la mia personalità tutt’altro che tranquilla e docile.
L’apparenza inganna, questo è certo!

Cos’è, allora, che offende o disturba oggi, nell’essere o sentirsi definire una “brava ragazza”?
A mio avviso:
avere in testa un cliché (schema di ragionamento ripetuto) non determinato dalla propria mente;
agire secondo le fissazioni altrui;
seguire il pensiero dominante;
farsi carico di un’allure (in italiano "portamento sicuro e disinvolto", stile, classe) che non ci corrisponde;
adottare un atteggiamento privo di singolarità;
ripetere un comportamento non dettato dal cuore;
agire per frase fatta, stereotipata, abusata;
rendere il concetto assoluto di “brava ragazza” cristallizzato, immutato nel tempo, indiscutibile;
non essere consapevole di chi si è veramente e di chi si vuole diventare.
Il concetto di essere “brava” significa, ora più che mai, decidere di assecondare la propria natura, predisposizione, vocazione, attitudine, qualunque essa sia, essere coerente e rispettosa sempre, onesta il più possibile (specialmente con sé stesse), dare valore e importanza alla propria autenticità, unicità, originalità.
Chi siete voi ragazze e che tipo di donne desiderate diventare? Ve lo siete mai domandato? Questo è il momento giusto.
Questi e altri argomenti saranno trattati nel libro di prossima pubblicazione, quindi restate aggiornati!