
Riflessi di Lydia
Tra le cose che mi infastidiscono maggiormente c’è l’attesa di chi arriva in ritardo. Sebbene possa sembrare una questione di poco conto, ogni volta che mi trovo in questa situazione emergono in me numerosi interrogativi sul senso della tolleranza e sulle dinamiche delle relazioni interpersonali.
Non so voi, ma spesso, durante riunioni, conferenze o lezioni, mi capita di ascoltare le lamentele di docenti, maestri o relatori infastiditi da chi non arriva mai in orario. Queste lamentele, però, invece di essere rivolte ai ritardatari, finiscono per ricadere su di me e su tutti coloro che hanno rispettato l’orario.
Mi chiedo spesso perché non si sfoghino direttamente con chi è in ritardo, invece di prendersela con chi, come me, è presente e puntuale. È come se la mia puntualità venisse ignorata, mentre tutta l’attenzione si concentra su chi ha scelto di non rispettare l’impegno.
Perché non raccomandare la puntualità la prossima volta, invece di rimanere in silenzio al loro arrivo? Questo comportamento mi sembra profondamente ingiusto e genera una tensione che potrebbe essere facilmente evitata.
Essere in ritardo è una mancanza di rispetto nei confronti del tempo altrui o semplicemente una questione di cattiva organizzazione? Ho l’impressione che chi arriva in ritardo non si renda conto dell’impatto che la propria inconsapevolezza ha sugli altri.
Potrebbe sembrare un piccolo inconveniente, ma, accumulandosi nel tempo, queste esperienze possono generare un vero e proprio risentimento verso chi non considera il valore del tempo altrui.
La puntualità non è solo una questione di rispetto: è anche un segno di educazione, professionalità e considerazione per gli altri.
Un altro malcostume molto diffuso è quello di dire ai presenti puntuali: «Aspettiamo che arrivino anche gli altri per iniziare». E chi ne paga le conseguenze? Sempre i puntuali. La tragicommedia dell’“Aspettiamo altri 5 minuti” si ripete continuamente.
Vi è mai capitato di sedervi in aula in orario, pronti a iniziare la lezione, solo per scoprire che il docente aspetta ancora “solo un pochino” che arrivino tutti? E quei 5 minuti diventano 10, poi 15… finché metà dei partecipanti manca ancora all’appello.
Risultato?
✔ Spreco di tempo prezioso.
✔ Chi è presente si annoia.
✔ La lezione si diluisce, con meno contenuti e più frustrazione.
✔ I ritardatari entrano rumorosamente, disturbando la lezione e rimangono impuniti.
La cosa più assurda? La volta successiva il docente aspetterà ancora.
È un circolo vizioso: chi arriva in ritardo fa sempre come vuole, mentre chi rispetta gli orari viene punito con l’attesa.
Chi è consapevole non perde tempo (e non lo fa perdere agli altri).
La verità scomoda è che il ritardo è una forma di disprezzo per gli altri. Se seminari, eventi e incontri iniziano alle 9:00, quell’orario non è un’indicazione di massima: è un impegno preso.
Ma il problema non è solo organizzativo, è anche mentale.
🔹 Se il ritardatario manca sistematicamente di puntualità, sta inconsciamente dicendo che il suo tempo vale più di quello degli altri.
🔹 Se si accetta che qualcuno arrivi sempre in ritardo, si sta rinunciando a far rispettare i propri bisogni.
Come rompere questo schema?
Nel mio nuovo libro, "Vivere in piena consapevolezza a 360°", affronto proprio questi temi:
📌 Perché è fondamentale rispettare gli altri.
📌 Perché è importante saper gestire il tempo.
📌 Perché esistono strategie per essere più organizzati.
La puntualità si esercita nel momento in cui si smette di pensare di essere il centro del mondo.
