
Riflessi di Lydia
Non ho mai avuto la presunzione di poter salvare il mondo intero, né mi sono mai fatta carico delle responsabilità altrui. Tuttavia, c’è stato un periodo in cui la mia mente era costantemente occupata da pensieri rivolti alla risoluzione di problemi che non mi appartenevano, procurandomi soltanto un senso di pesantezza.
Ci si sente quasi in obbligo a cercare di aiutare gli altri, a tentare di salvare chi si trova in difficoltà, a intervenire in situazioni poco piacevoli, a prendere le difese di chi soffre, a cercare soluzioni per chi sembra aver smarrito la via, spinti dalla falsa retorica che «in fin dei conti è pur sempre un amico/famigliare che ha bisogno».
Arriva un momento in cui si è stanchi, spossati, svuotati e stufi di farsi in quattro per qualcun altro che non progredisce e che nemmeno apprezza lo sforzo, e si prende atto di qualcosa di fondamentale: non si può salvare chi non sceglie di salvarsi.
Mentre scrivo su questa verità, mi rendo subito conto di quanto sia difficile accettarla.
Ci sono persone che amiamo profondamente, amici e famigliari che combattono le proprie battaglie interiori. Vederli soffrire è straziante, ma il desiderio di aiutarli diventa un peso insopportabile, un fardello che ci portiamo nel cuore. La realtà è che, in ultima analisi, la decisione di cambiare, di liberarsi dalle catene del dolore o delle dipendenze, deve venire dall'interno.
Penso a una persona cara, un'anima brillante intrappolata in un ciclo di autodistruzione. Ho cercato di starle vicino come potevo, di offrirle sostegno e comprensione, ma ogni tentativo è svanito nel nulla, se non mi si ritorceva addirittura contro. Le sue scelte la portavano sempre più ad addossarmi qualsiasi sua frustrazione e mi trovavo a stare male, dispiaciuta e impotente. In quel momento ho capito che il mio desiderio di aiutarla, purissimo nei miei intenti, non poteva sostituire il suo di aiutarsi da sola e mi sono allontanata fisicamente ed emotivamente.
Prendere le debite distanze, molto spesso si rivela essere la migliore ricetta per mantenere un equilibro psico-fisico.
Accettare questa realtà è forse una delle lezioni più dure che la vita possa insegnarci. È un atto di amore anche lasciar andare, permettere all'altro di affrontare le proprie sfide senza il nostro giudizio e quella fastidiosa interferenza di un incessante buonismo.
Non essere più la persona che si prende la responsabilità della felicità altrui è una liberazione.
Si può volere bene, essere un faro, un punto di riferimento, una spalla su cui piangere, ma senza cercare di navigare al loro posto.
In questo modo, si continuerà a essere presenti con la consapevolezza che il cambiamento deve partire da chi lo desidera. Imparare a rispettare il cammino degli altri, anche quando quel percorso sembra portarli lontano da dove si vorrebbe vederli, è di cruciale importanza. È un passaggio non facile, ma necessario. Lasciarli scegliere è, in effetti, la cosa più sensata che si possa fare - sia per loro che per sé stessi.
E mentre si realizza tutto questo, si sente un peso sollevarsi. È come se si avesse finalmente trovato una chiave per aprire una porta che si credeva bloccata. Accettare che non è possibile salvare chi non sceglie di salvarsi è un passo verso la leggerezza. E con questo pensiero, ci si concede la pace di concentrare le proprie energie su coloro che sono pronti ad accogliere il cambiamento.
