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Pudore, quale sconosciuta!

Riflessi di Lydia

In un'epoca in cui il pudore appare come un relitto del passato, ci troviamo a confrontarci con la crescente mancanza di riservatezza che caratterizza le nostre relazioni e le strategie pubblicitarie.

Mi ha colpito la reazione di un uomo di fronte a una mamma che, dopo aver allattato il suo bambino in pubblico, aveva ancora il seno scoperto: «Va bene tutto, ma ognuno ha la propria sensibilità!».


Devo ammettere che anch’io mi sono sentita a disagio, più per gli sguardi maliziosi rivolti alla donna che per il suo seno nudo in bella vista.


Parlando con quest’uomo, ho riscontrato come per molti uomini questa parte del corpo abbia una forte connotazione erotica, spesso associata alla sessualità e alla sensualità. Può evocare pensieri di passione, risvegliando desideri e fantasie.


L’interpretazione di un seno nudo – che in quel caso era simbolo di nutrimento e cura per il proprio bambino, oppure, per alcuni, espressione di libertà e autonomia della madre – dipende fortemente dal contesto culturale in cui si trovano l’uomo e la donna.


In alcune culture, l’esposizione del seno può essere vista come un atto provocatorio, mentre in altre è considerata una normale espressione di libertà corporea.

Questo fattore influenza profondamente la percezione e la reazione degli individui di fronte a tali immagini.


Il ricordo di tempi in cui la discrezione era un valore condiviso si intreccia oggi con una realtà in cui esibizionismo e spudoratezza sembrano prevalere.


Ma cosa è successo alle nostre interazioni sociali e ai messaggi che ci vengono lanciati senza ritegno dalle campagne pubblicitarie?


Riflettiamo sulle relazioni interpersonali, partendo dal primo approccio: un tempo avveniva con delicatezza e accortezza, riservando gesti e parole solo a chi meritava fiducia e intimità. Oggi, invece, siamo immersi in una cultura della condivisione immediata.

Le storie d’amore si consumano davanti a schermi luminosi, tra post sui social media, dove ogni dettaglio viene svelato come se fosse un prodotto da vendere. Non c’è più spazio per il mistero o la sorpresa; l’intimità viene esposta come un collage visivo, privando i sentimenti della loro autenticità.


È interessante notare come questa tendenza sia accompagnata da un bisogno crescente di accettazione e approvazione. I “Mi piace” sui social network sono diventati il metro di misura del nostro valore e, in nome di questa ricerca di consenso, spesso compromettiamo ciò che è intimo e personale.


Le relazioni, un tempo costruite su rispetto reciproco, rischiano di diventare interazioni superficiali, basate su immagini patinate, sexy e narrazioni artefatte.


Questa mancanza di pudore si riflette anche nei messaggi pubblicitari, dove le aziende cercano di attirare l’attenzione a qualsiasi costo.


Nella frenesia di un mercato sempre più competitivo, la provocazione diventa la norma. Slogan audaci e immagini sensuali invadono i nostri sensi, spesso superando il limite del buon gusto.

È ormai evidente che la pubblicità di prodotti per l’incontinenza, gli assorbenti igienici o la cura del corpo ha superato ogni limite di decenza.


Non è necessario ricorrere a immagini provocatorie, come una ragazza seduta sul water, per promuovere un prodotto che dovrebbe garantire dignità e comodità.

Allo stesso modo, utilizzare assorbenti innaffiati di rosso o esibire parti intime femminili per pubblicizzare una crema depilatoria è il segno di una tragica caduta di stile nel marketing.


Queste scelte comunicative non solo risultano imbarazzanti, ma spesso anche offensive.


È fondamentale che i marchi si distacchino da strategie che sfruttano la sessualizzazione e la volgarità, per abbracciare invece messaggi che rispettino le esperienze e le esigenze delle donne senza aggressività. È tempo di fare pubblicità con intelligenza e rispetto per le diverse sensibilità, evitando sia stereotipi obsoleti sia provocazioni gratuite.


Oggi ci viene venduto non solo un prodotto, ma un’idea di libertà che, paradossalmente, trascura la dignità umana. L’oggettivazione ha superato ogni limite, trasformando il corpo umano in un mero strumento di vendita.


Ma dov’è finita la bellezza del riserbo?


Perché non riflettiamo sull’importanza di mantenere un certo grado di mistero nelle nostre vite, sia personali che pubbliche?

Invece di restare intrappolati in un circolo vizioso di esibizionismo, sarebbe auspicabile riscoprire il valore del pudore.


La riservatezza non è sinonimo di paura, vergogna o tabù, ma di buon senso, consapevolezza e autocontrollo.


Riscoprire la bellezza del silenzio e il rispetto dell’intimità, sia nelle relazioni che nella pubblicità, potrebbe riportare un equilibrio oggi smarrito.


Mentre ci muoviamo in un mondo che sembra aver abbracciato la mancanza di pudore, è fondamentale ricordare che esistono ancora valori da custodire.

La nostalgia per un’epoca in cui l’intimità era sacra può essere una guida, invitandoci a riscoprire la vera essenza delle relazioni umane e a promuovere una comunicazione rispettosa di noi stessi e degli altri. Solo così potremo costruire legami autentici e significativi, lontani dalla superficialità imposta da una società e da una pubblicità sempre più spinte all’estremo.


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